Da: A.Hitler - «Discorsi
sull'arte Nazionalsocialista» Edizioni di Ar
introduzione di Claudio
MuttiLe varie teorie
estetiche e i numerosi ismi che nell'Occidente moderno
hanno animato le dispute intorno alla questione dell'arte
sono riconducibili, al di là della loro apparente
diversità, a un'unica concezione estetica e, più
generalmente, a un'unica mentalità. Le idee correnti
relative all'arte trovano infatti la loro origine in
quella grande manifestazione dello spirito moderno che fu
il Rinascimento: la concezione dell'arte quale attività
autonoma e scissa da ogni principio d'ordine superiore
nasce in coincidenza col definitivo distacco dell'Europa
dalla Tradizione.
E' vero che la formula aristotelica dell'«ars imitatur
naturam» rimase, anche dopo il Medioevo, il canone
immutato dell'arte, dato che la riproduzione del mondo
visibile o anche, aristotelicamente, l'imitazione
di ciò che può essere significava, in un certo
modo, obbedienza alla ragione; ma ciò non vuole
assolutamente dire che l'arte abbia conservato, nell'età
moderna, il senso che essa aveva precedentemente avuto.
In una sua opera pubblicata nel 1935 (1) Johan Huizinga
commetteva appunto l'errore di far risalire ad appena un
cinquantennio prima l'inizio della degenerazione
dell'arte; tale giudizio si collegava alla limitatezza
della prospettiva assunta dallo storico olandese, il
quale, nella sua indagine dei motivi della «crisi della
civiltà», non spingeva il suo sguardo oltre gli effetti
ultimi di un più lungo e complesso processo di
decadenza. Eppure in una sua opera di sedici anni prima,
dove veniva magistralmente illustrato il declino
dell'età medioevale nel mondo borgognone, Huizinga aveva
colto distintamente la differenza fra arte tradizionale e
arte moderna, differenza ben più categorica ed
essenziale di quella che egli stesso stabiliva, in
seguito, fra espressione estetica razionale ed
espressione estetica irrazionale. Riferiamo dunque, da
L'autunno del Medio Evo, un brano che ci sembra
estremamente lucido e significativo: L'arte, in quei
tempi, è ancora strettamente connessa con la vita e la
vita si svolge secondo norme salde [...] E' compito
dell'arte di adornare di bellezza le forme in cui si
svolge la vita. Ciò che si cerca, non è l'arte per se
stessa, ma la vita bella. Non è come in tempi
posteriori, quando si evade da una routine quotidiana,
per trovare conforto ed elevazione nella solitària
contemplazione delle opere d'arte; l'arte viene, al
contrario, inserita nella vita stessa, per dar a questa
un maggior splendore. Essa è destinata a partecipare ai
momenti culminanti della vita, agli slanci sublimi della
pietà, come al superbo godimento dei piaceri del mondo.
Non si cerca, nel Medioevo, l'arte per amore della
bellezza in se stessa. In gran parte è arte applicata,
persino nei prodotti che noi saremmo tentati di ritenere
opere d'arte per se stanti [...] I primi germi di un
amore dell'arte per se stessa compaiono come aberrazioni:
i principi e i nobili accumulano oggetti d'arte, che
formano a poco a poco delle collezioni; tali oggetti
perdono allora ogni utilità pratica e vengono goduti
come una curiosità, come parti preziose del tesoro del
principe; ed è così che nasce il senso artistico vero e
proprio, che si sviluppa poi nel Rinascimento(2).
L'idea di un «godimento estetico», la nozione stessa di
«bellezza artistica» sono dunque ignote all'uomo del
Medioevo. «Se la bellezza dell'arte lo riempie di luce e
di commozione, osserva ancora Huizinga egli
converte immediatamente tale sentimento in un senso di
comunione con Dio o in gioia di vivere»(3). La civiltà
tradizionale ignora l'emancipazione dell'elemento
meramente estetico, così come ignora la distinzione fra
arte sacra e arte profana, fra arti e mestieri:
l'artefice, che è qualcosa di più dell'artista e
dell'artigiano, svolge un'attività che, integrandosi
nella tradizione, costituisce una via di partecipazione
alla tradizione stessa. La figura dell'artista
modernamente intesa comincia a delinearsi allorché il
quadro armonico e ordinato della civiltà medioevale si
dissolve e l'individualità, la personalità di spicco,
il «genio» riempiono quel vuoto che la forza normativa
della Tradizione ha lasciato libero. Oggettività,
impersonalità, trascendenza, vengono escluse dall'arte,
che si riduce ad essere espressione della soggettività
privata. Stati d'animo individuali, effusioni
sentimentali, emozioni precarie e sussulti frivoli
divengono la materia dell'arte moderna, mentre nasce il
dissidio assurdo dal punto di vista tradizionale
fra bello e vero.
Ma i «supremi valori della persona» proclamati dal
Rinascimento e riconfermati dall'illuminismo non ebbero
un regno senza fine: avvenimenti come la prima guerra
mondiale travolsero, con un inaudito scatenarsi di forze
elementari, gran parte delle idealità umanistiche ; e fu
proprio nell'atmosfera del primo dopoguerra che si
formarono correnti artistiche nelle quali per
citare Evola, che ebbe una certa parte in movimenti quali
l'astrattismo e il dadaismo «si era affacciato il
tema di un nuovo classicismo inteso appunto nel senso di
una tendenza alla forma e alla semplificazione, al
'doricismo' lineare e essenziale, affermato in funzione
polemica contro l'arbitrario, il fantasioso e il
'grazioso' della precedente arte borghese
individualistica»(4). Tendenze quali Neue Sachlichkeit o
Esprit Nouveau esprimevano l'esigenza di un nuovo
realismo, di una «nuova essenzialità» appunto: «un
realismo che significava freddezza, chiarezza, serietà e
purezza: distacco dal mondo dei sentimentalismi, dei
'problemi dell'Io', della tragicità melodrammatica, da
tutta l'eredità del crepuscolarismo, del romanticismo,
dell'idealismo e dell' 'espressionismo' un
realismo che comportava il senso della vanità dell'Io e
del credersi importanti come individui»(5).
Il realismo socialista (che, nonostante gli sforzi
compiuti per affermarne la legittimità e l'ortodossia in
rapporto a Marx e a Engels, affonda le sue radici nel
«realismo critico» di Vissarion Belinskij e nella
cultura russa del XIX secolo) accoglie e fa sua questa
esigenza di essenzialità. «Nella sua attività
leggiamo nella prima enunciazione dei princìpi del
realismo socialista l'artista deve esprimere i
processi rivoluzionari, gli sforzi e le vittorie, in modo
veritiero, rivoluzionario, realistico [...] La disamina
veritiera della nostra realtà, il suo fedele riflettersi
nella creazione artistica costituiscono la strada
migliore per creare le opere d'arte richieste dai
costruttori del socialismo e da coloro che combattono per
il trionfo della rivoluzione socialista in tutto il
mondo»(6). La rigorosa applicazione del realismo
socialista nel campo artistico consentì all'Unione
Sovietica di mantenersi immune da quell'«arte
degenerata» che imperversava in tutta Europa: «Bisogna
riconoscere a Stalin sono parole di Hitler
il merito di avere tenuto gli ebrei lontani dall'arte»(7).
Anche Mao Tse-tung, fissando dieci anni più tardi i
punti fondamentali per la «giusta linea di sviluppo
dell'arte rivoluzionaria», intende la creazione
artistica come un riflesso della realtà: «La
letteratura e l'arte rivoluzionarie sono il prodotto del
riflesso della vita del popolo nella mente degli artisti
e scrittori rivoluzionari. La vita del popolo è sempre
una miniera inesauribile di materiale per la letteratura
e l'arte.»(8) Per Mao, tuttavia, non basta operare una
«disamina veritiera della realtà», ma bisogna
rivolgere lo sguardo alla prospettiva verso cui si tende,
al «dover essere»: «...anche se la vita, la
letteratura e l'arte sono belle, la vita riflessa nelle
opere letterarie e artistiche può e deve essere più
elevata, più intensa, più concentrata, più tipica e
più vicina all'ideale, e quindi più universale della
realtà quotidiana»(9).
L'esistenza di un'affinità fra l'arte sovietica e l'arte
del nazionalsocialismo è stata sostenuta da molti(9bis).
Elémire Zolla ha parlato, col raccapriccio tipico
dell'intellettuale minacciato dall'eclissi, del «costume
terroristico tradizionalista dei sovietici o dei
nazisti»(10): in altre parole, della fedeltà al proprio
popolo e alle sue tradizioni. W. Haftmann ha visto,
nell'affermazione del realismo e nella distruzione del
«libero spirito individuale», il comun denominatore
dell'arte sovietica e dell'arte nazionalsocialista: «In
un'automatica trasformazione delle condizioni di questi
tre popoli arretrati dal punto di vista della democrazia
(Russia, Germania, Italia) nacque la forma del
totalitarismo politico. Il totalitarismo è quel concetto
comprensivo sotto cui si trovano in rapporto di stretta
parentela movimenti apparentemente così opposti come il
bolscevismo nella fase leninistico - stalinista, il
fascismo di Mussolini e il nazionalsocialismo di Hitler.
Quale espressione più sbalorditiva ed evidente di questa
intima concordanza diretta contro la libertà umana, esso
ha prodotto esattamente la stessa concezione dell'arte.
Lo stile ufficiale dei paesi totalitari è dovunque lo
stesso ...»(11). Vedute come queste vengono ovviamente
respinte con sdegno dai critici marxisti, i quali vedono
in esse «un perfido procedimento [inteso] ad accusare il
socialismo del passato e del presente sulla base delle
forme espressive discreditate dalle copie fasciste»(12).
Constatare la «convergenza estetica» dei regimi
totalitari sarebbe insomma nient'altro che un espediente
per «trasferire la criminalità del fascismo sul
socialismo»(13).
Ora, al di fuori dei clichés ideologici degli storici
dell'arte liberali e marxisti, in quale misura è
possibile parlare di un medesimo «stile ufficiale dei
paesi totalitari» in relazione ai regimi antidemocratici
conosciuti dai «tre popoli arretrati» citati da
Haftmann? In altre parole, fino a che punto è giusto
stabilire una stretta parentela fra la pratica artistica
sovietica, quella nazionalsocialista e quella fascista?
In primo luogo è necessario rilevare che il fascismo
italiano si tenne a una notevole distanza, anche nel
campo dell'arte, dalle idee nazionalsocialiste e
sovietiche; esso infatti favorì una concezione artistica
basata sulla preminenza dei valori individualistici ed
estetici, concezione che aveva avuto il suo alfiere più
illustre in Gabriele D'Annunzio e che può venire
riassunta in questa esortazione, rivolta dall'«artefice
solitario» ai poeti e agli artisti: «Difendete la
Bellezza! E' questo il vostro unico officio. Difendete il
sogno che è in voi!»(14). Nel discorso pronunciato il
20 maggio 1924 davanti agli artisti radunati in
Campidoglio, Mussolini dichiarò che il fascismo era
contrario alle tendenze estetizzanti («L'attuale
Governo, sorto da un moto spirituale, respinge la teoria
che fa dell'arte una manifestazione di lusso [...] Tutti
gli istituti d'arte, dai teatri al museo, dalla galleria
all'accademia, debbono essere considerati come
scuole...»); tuttavia, nonostante emergesse di quando in
quando l'esigenza di «un'arte schiettamente fascista»(15)
il regime non si impegnò mai seriamente affinchè l'arte
svolgesse una funzione politica e civile. Il fatto è
che, «a differenza dello stalinismo, il fascismo
all'autonomia dell'arte crede»(16). Questa sostanziale
credenza nell'autonomia dell'arte che non è
contraddetta dalle enunciazioni teoriche di Mussolini ed
è anzi confermata dall'esigenza di un'arte fascista,
espressa da taluni smentisce il punto di vista di
coloro che tentano di fissare analogie fra le concezioni
artistiche dei regimi «totalitari», includendo il
fascismo italiano nel novero di questi ultimi. Infatti,
se il fascismo crede alla possibilità di un'arte
autonoma dalla politica, la necessità di un carattere
nazionale e popolare dell'arte, nonché di una sua
funzione politica, viene chiaramente affermata dal
nazionalsocialismo e dal socialismo «totalitario».
Ecco, in proposito, alcune frasi illuminanti di Goebbels,
tratte da una lettera indirizzata a Wilhelm Furtwängler
e pubblicata l'11 aprile 1933 sul «Lokal Anzeiger»:
Compito dell'arte e degli artisti non è soltanto di
unire: compito loro è di modellare, plasmare, eliminare
il marcio e spianare la via al sano. Quale uomo politico
tedesco non posso quindi accettare una sola distinzione,
come Ella desidera: quella tra l'arte buona e l'arte
cattiva. L'arte non deve soltanto essere buona,
dev'essere anche legata al popolo; per meglio dire,
soltanto un'arte che crei attingendo pienamente alla
nazione può in definitiva essere buona e significare
qualcosa per il popolo, per il quale è stata creata.
L'arte in senso assoluto, così come la concepisce il
democraticismo liberale, non deve esistere. Il tentativo
di servire una simile causa servirebbe alla fine il
risultato di spezzare ogni intimo legame tra il popolo e
l'arte: lo stesso artista si isolerebbe e si
estranierebbe dalle forze creatrici, nella sterile
campana di vetro dell'art-pour-l'art. L'arte deve essere
buona; ma deve anche essere cosciente delle sue
responsabilità, coerente, vicina al popolo e pugnace.
I concetti fondamentali espressi da Goebbels e
cioè la negazione dell'art-pour-l'art, con la
conseguente affermazione di un ruolo politico della
realtà artistica li ritroviamo nella dottrina
maoista: «L'arte per l'arte, l'arte al di sopra delle
classi, l'arte al di fuori della politica o indipendente
da essa, in realtà non esiste»(17). E ancora: «La
letteratura e l'arte sono subordinate alla politica, ma
anch'esse, a loro volta, esercitano una grande influenza
sulla politica. La letteratura e l'arte rivoluzionarie
fanno parte dell'intera causa della rivoluzione, ne sono
una piccola ruota e una piccola vite»(18). Il concetto
dell'arte quale strumento educativo dello Stato, avente
il compito, per usare le parole di Goebbels, «di
modellare, plasmare, eliminare il marcio e spianare la
via al sano», è presente anche nello stalinismo:
«compito della letteratura è di aiutare adeguatamente
lo Stato ad allevare la sua gioventù, rispondere ai suoi
bisogni, educare la nuova generazione ad essere
coraggiosa, a credere nella sua causa, a mostrarsi
intrepida dinanzi agli ostacoli e pronta a superare tutte
le barriere...»(19).
Ecco dunque che il «rapporto di stretta parentela» di
cui parla Haftmann accomuna sì, per quanto concerne la
concezione dell'arte, il totalitarismo socialista e
quello nazionalsocialista(20), ma non coinvolge
assolutamente il fascismo italiano, la cui permissività
in materia di arte è stata spesso riconosciuta dagli
antifascisti. In un servizio in esclusiva sulla pittura
nazionalsocialista pubblicato nel 1974 su un settimanale
democratico ad elevata tiratura era infatti possibile
leggere: «Una delle differenze fondamentali e non
abbastanza studiate tra fascismo e nazismo è data
dal diverso comportamento dei due regimi dittatoriali nei
confronti dell'arte. [...] L'arte ufficiale, l'arte del
fascismo, non riuscì mai a sopprimere l'arte vera,
spontanea. In Germania accadde tutto il contrario...»(21).
L'articolo citava inoltre il disprezzo manifestato dal
Führer nei confronti del futurismo, al quale la mostra
d'arte italiana tenuta nel 1937 a Berlino riservò la
sala più importante. Un analogo riconoscimento della
tolleranza artistica del fascismo proviene dal già
citato Piero Meldini: «E' proprio quest'idea
romantico-decadente dell'arte che [...] non dà luogo, in
genere, ad interventi duramente censori (e tantomeno
persecutori) verso scrittori ed artisti, nè, come s'è
detto, a violazioni patenti della loro «autonomia»; e
anche quando chiede loro un maggior entusiasmo nei
confronti del regime, lo fa in maniera beneducata e
facendo attenzione a non bruciargli l'ispirazione»(22).
Abbiamo parlato del realismo socialista come di una
risposta, data nel campo dell'arte, a quell'esigenza di
oggettività che si contrappone all'instabilità, al
soggettivismo, all'affermazione individuale. L'arte
nazionalsocialista tende a soddisfare il medesimo
bisogno, sicché essa si pone, nei confronti del
realismo, in un rapporto che Hinz definisce di
«correlazione» (23); è in una realtà vera e assoluta,
permanente e soprastorica, che essa vuole trovare uno
sbocco, superando ogni limitazione e ogni relatività di
carattere temporale. «L'artista che crede di dover
dipingere per il suo tempo, servire il suo gusto, non ha
compreso il Führer. La posta in gioco è per
l'eternità! Creare l'eterno partendo dal temporale,
questo è il senso di ogni umana impresa. Così l'arte
sia una lotta del mortale per l'immortalità»(24).
Queste parole di Baldur von Schirach riassumono
sinteticamente il programma artistico del
nazionalsocialismo:
la pretesa imprescindibilità del supporto storico viene
coraggiosamente negata e proprio attraverso la
«negazione del tempo storico quale aprioristico luogo
del fare artistico come di ogni fare umano in generale»(25)
si perviene a un'arte ontologica, sostanziale.
Hitler stesso insiste sulla necessità di disancorare
l'arte dall'astrazione «tempo» per assicurarla alla
realtà «popolo»: «L'arte non trova fondamento nel
tempo, ma unicamente nei popoli. L'artista perciò non
deve innalzare un monumento al suo tempo, ma al suo
popolo. Perché il tempo è qualcosa di mutevole, gli
anni sopravvengono e passano [...] Fintanto che un popolo
esiste, è esso il polo fisso in mezzo al divenire dei
fenomeni»(25bis) La realtà del popolo costituisce
dunque una mediazione «radicale», affinchè l'arte
rinetta la dimensione del valore, che è eterna; esso sta
come l'unico elemento di mediazione affinchè il mondo
del valore si manifesti storicamente.
Ne consegue che il mondo rappresentato dagli artisti
nazionalsocialisti è un mondo di sostanze, un mondo di
figure che tendono a essere archetipiche quanto più sono
libere dal contingente. L'ambiente in cui spiccano queste
figure, ideali e reali insieme, non può che essere un
ambiente naturale:
Essi non dipingono più bevitori di assenzio e giocatori
di roulette, nè tisiche cavallerizze da circo, nè
ballerine dall'apparenza di marionette, nè maschere
profondamente vuote e neppure donne di piacere dal viso
imbellettato [...] essi vogliono essere propugnatori
della vita intesa positivamente [...] Con giusto istinto
gli artisti cercano perciò i loro modelli soprattutto
tra quei connazionali che, direi quasi per natura, sono
veramente in ordine: essi si rivolgono là dove la
vicinanza del suolo natio, le benefiche forze della
campagna, la protezione da mescolanze di sangue, la forza
di una tradizione sviluppata e la benedizione del
salutare lavoro hanno conservato sana la sostanza. Di
conseguenza nella nostra pittura riappaiono di nuovo e in
misura crescente visi e figure contadine, gli uomini dei
primitivi mestieri naturali i cacciatori, i
pescatori, i pastori e i boscaioli ; ad essi
tuttavia si accompagnano gli schietti uomini
dell'artigianato, poiché anche in questa forma di vita
nobilitata dalla maestria diventa percettibile una
creatività costruttiva di autentici valori(26).
Ecco alcuni titoli eloquenti in proposito: Famiglia di
contadini di Kahlenberg (A. Wissel), Aratura (J. P.
Junghanns),
Bottega del maniscalco (F. X. Stahl), Sopra la zolla (G. Hanel), Mietitori in marcia (O. Martin - Amorbach), Il mietitore (F. Gerwin), Aratori (C. Bauer), Contadino intento ad arare (J. V. Cissarz), Il seminatore (O. Martin-Amorbach), Contadini della regione di Essen (T. Baumgartner), Famiglia contadina dell'alta Austria (A. Lutz), Coppia stiriana in costume regionale (H. Schachinger), Boscaioli (H. Schroedter), Tessitore (H. J. Mann), Contadino alsaziano accanto al vino (G. Stosskopf), Famiglia di montanari (F. Spiegel), Sangue e suolo (E. Erler),Venere contadina (S. Hilz) ecc.(27)
Fra queste figure emblematiche di un ordine naturale
immune dallo sgretolarsi del tempo e del divenire storico
occupano un posto di rilievo i simboli della maternità e
della fecondità, condizioni della continuità del Volk:
Si intende che, correlativamente, anche le donne e le
fanciulle degli stessi ambiti di vita hanno i loro
diritti, poiché esse coi loro compagni costituiscono la
valida base del popolo, e il loro aspetto è
particolarmente ricco di effetti laddove si tratta di
imprimere in ciascuno l'immensa importanza della sana
sostanza nazionale. Poiché la donna, non appena diviene
madre, è sempre circondata dalle consacrazioni
originarie di un ordine naturale, e poiché d'altro canto
la maternità in sé appartiene ai valori più elevati di
un popolo ricco di volontà tesa verso il futuro, la
madre col bimbo è in generale un soggetto molto caro
alla nuova arte tedesca. Gli artisti sottolineano
soprattutto il ruolo della madre quale custode della vita
nelle sue più preziose peculiarità della razza e del
carattere(28).
Rappresentativi di questo genere sono quadri come quelli di Wolfgang Willrich (Custode della specie, Benedizione della terra) o i vari dipinti ispirati al tema della maternità: Madre di K. Diebitsch, Madre in divenire di A. Ressel, L'erede di R. Heymann, Maternità di H. E. Linde - Walther. Spesso, come in Benedizione della terra di Willrich, in Frutti maturi di Heymann e nei quadri, recanti il medesimo titolo di Epoca della maturazione, di J. Beutner e di J. V. Cissarz, la fecondità della donna è armonizzata con la fertilità della natura. Oltre alla donna in quanto madre potenziale o effettiva, la pittura nazionalsocialista ritrae la donna nella sua sostanzialità, spesso in rapporto all'età (Essere ragazza di H. Hanner, Gioventù di W. Hempfing) o all'ambiente (Venere contadina di S. Hilz, Grazia contadina di O. Martin - Amorbach). La frequenza dei nudi femminili tende a porre in rilievo la perfezione delle forme fisiche, espressione della sostanza razziale: è il caso di quadri come Bagno nel lago di montagna di J. Engelhard, Donna distesa di R. Schuster - Woldan, Nuotatrice di R. Schwarz, Attesa di J. Schult, Lungo la riva di Ernst Liebermann ecc.
Collocati, come si è visto, su di un piano atemporale, i
nudi di quest'arte rivestono valore di simboli, sono
quasi le immagini sensoriali di idee platoniche. Tale
significato paradigmatico del corpo umano come esso viene
rappresentato dai pittori nazionalsocialisti è accennato
da Kauffmann: «Nell'arte si ha a che fare con i corpi
quali devono essere per natura, con forme perfette, con
una struttura dalle pure proporzioni, con una pelle ben
irrorata di sangue, con l'innata armonia del movimento e
con evidenti riserve vitali»(29). A questo ideale
classico della bellezza, intesa quale perfezione di forme
e armonia di proporzioni, corrispondono le numerose
creazioni pittoriche d'ambiente greco, nelle quali il
nudo, inserito com'è nel discorso mitico, accentua la
sua natura di «tipo» e acquista una dimensione che non
è più nemmeno umana. Rientrano in questo genere opere
come Il riposo di Diana,
Il giudizio di Paride, Marte e Venere, Il bagno di Diana
(I. Saliger), Nausicaa, Europa (J. Piper), Tersicore (A.
Ziegler), Danae (J. Engelhard), Psyche (R. Heymann),
Venere (Kluska), nonché i vari dipinti ispirati al mito
di Leda (I. Saliger, O. Roloff, P.M. Padua, K. Ziegler).
Simboli dell'ordine naturale sono pure le figure di
animali: «[Gli artisti nazionalsocialisti] non si
stancano di mostrare l'uomo tedesco immerso nel suo
ambiente sociale e materiale, nell'ambito della sua
famiglia, nel lavoro collettivo, insieme con gli animali
domestici affidati alle sue cure, da cui egli stesso
avverte e apprende il segreto della salute, la legge
degli ordini naturali»(30). Cavalli e buoi aggiogati
all'aratro figurano in quadri di Werner Peiner(Autunno
nella Eifel, Terra tedesca)
di Georg Haenel (Sopra la zolla), di Carl Bauer
(Aratori), di Johann V. Cissarz (Contadino intento ad
arare) e di numerosi altri; ma non mancano situazioni
diverse, come nel Segnale di sveglia di M. Bergmann, nel
Riposo di E. X. Stahl o nel Riposo sotto il salice di J.
P. Junghanns. L'impressione che si ricava da tali opere
è l'esistenza di una solidarietà profonda fra uomini e
animali. Il lavoro, osserva giustamente Hinz, «appare al
livello arcaico come sforzo collettivo della natura
fisica umana e animale»(31).
Nonostante la predilezione per i temi relativi al mondo
contadino e al lavoro dei campi, anche il lavoro
industriale trova posto nella pittura nazionalsocialista;
l'operaio viene considerato come un soldato della
tecnica, nel quale «si incarna, come nel contadino e nel
soldato, la migliore sostanza della nostra razza»(32). Noi
siamo i soldati lavoratori di Ferdinand Staeger costituisce la rappresentazione icastica della concezione che fa del lavoro un servizio prestato con spirito militare; gli operai del quadro di Staeger sono i «rappresentanti di un socialismo che in onore del lavoro fa iniziare la vita virile di ogni giovane con la vanga»(33) Quadri come Colata d'altoforno di H. Steiner o Laminatoio di A. Kampf sottolineano egregiamente l'aspetto demiurgico del lavoro industriale; una successiva elaborazione, in senso monumentale, della tematica di Laminatoio conferisce agli operai raffigurati sembianze quasi titaniche. Hans A. Buehler riesce a cogliere, con Wieland, il significato magico della creatività: ecco dunque che il lavoro non è più maledizione, ma attività plasmatrice esplicata da quella stessa «volontà vitale del popolo, che altrove è rappresentata dal soldato in battaglia e dal contadino ad arare»(34). L'operaio, che il nazionalsocialismo ha riscattato dalla condizione di proletario senza patria, si vede così riconosciuta la medesima dignità che è conferita al contadino e al soldato. Operai, contadini e soldati sono le tre componenti fondamentali della Wolksgemeinschaft: è questa l'idea che Hans Schmitz - Wiedenbrueck esprime nel quadro intitolato Popolo in lotta, ma soprattutto nel grande trittico denominato appunto Operai, contadini e soldati, altro esemplare assai indicativo di quella che si è chiamata arte sostanziale.
Abbiamo poi i temi di guerra: Werner Peiner dipinge un
ciclo di arazzi dedicati alle grandi battaglie della
storia tedesca, Wilhelm Sauter rende omaggio con lo
Scrigno degli eroi ai soldati della grande guerra e agli
eroi del partito, Ernst Krause e Will Tschech si ispirano
alle gesta delle SS.
Franz Eichhorst illustra i vari episodi del
combattimento: Resistenza contro i carri armati, Nido di
mitragliatrici, Combattimento nelle strade, Ripiegamento
sono i titoli di alcune sue opere. Efficacissimo, nella
sua sostanzialità, è un quadro come Essi trasportano la
morte, col quale Oskar Martin - Amorbach coglie l'aspetto
distruttivo della guerra, mentre l'anonimo autore di
Crocifisso ne evidenzia l'aspetto sacrificale. Degni di
nota, fra i pittori di soggetti bellici, sono inoltre
Otto Engelhardt - Kyffhauser, Georg Siebert, Richard
Rudolph, Emil Dielmann, Rudolf Haisknecht.
Il carattere sostanziale dell'arte del Terzo Reich si
manifesta appieno nella pittura di guerra, poiché il
realismo eroico propiziato dall'esperienza bellica
moderna si traduce in una essenzialità pittorica che
elimina antitesi e condizionalità. «Il dettaglio
[viene] reso assoluto»(35), afferma a questo proposito
B. Hinz, il quale ha compreso come i pittori
nazionalsocialisti siano riusciti a cogliere l'aspetto
essenziale «assoluto», appunto delle
cose. In un libro d'arte dell'epoca, dedicato alla
pittura di guerra, si legge, a proposito di un
rappresentante del genere:
«Egli mira al fresco, ricco movimento, alla purezza
dell'esperienza, all'istante, all'essenza dell'esistenza
militare»(36).
Mirare all'essenza, dunque: questa può dirsi la parola
d'ordine riassuntiva del programma artistico
nazionalsocialista, un programma ispirato a un superiore
realismo, a un senso assoluto dell'esistenza, a un
impegno totale della vita.
CLAUDIO MUTTI
NOTE:
- 1 Johan
Huizinga, In de schaduwen van morgen;
tradotto in italiano col titolo La
crisi della civiltà, Einaudi 1963.
- 2 Johan
Huizinga, L'autunno del Medio Evo, Firenze
1966, pp. 351-352.
- 3 Op.
cit., p. 381.
- 4 Julius
Evola, Cavalcare la tigre, Milano 1971, p.
115.
- 5 Op.
cit., p. 114.
- 6 All'opera,
« Literaturnaja Gazeta », 29 maggio 1932.
- 7 Conversazioni
di Hitler a tavola (1941-1942) raccolte a
cura di Henry Picker, Milano 1969, p. 272.
- 8 Mao
Tse-tung, Discorsi alla Conferenza di Yenan
sulla letteratura e l'arte, Pechino 1968, p.
19.
- 9 Op.
cit., p. 21.
- 9 bis
L'affinità culturale fra la nuova Russia e la
nuova Germania affinità culturale su cui
specificamente si innesta l'analogia estetica di
cui ci occupiamo venne notata, fra i
primi, da Evola, il quale vide nei due sistemi le
manifestazioni di «un mondo nuovo, freddo, privo
di mezze luci, privo di sentimentalità, libero,
antiromantico [...] Un'epoca si chiude: l'epoca
romantica. Il fuoco ha distrutto ogni scorza, ha
messo a nudo le essenze. Insieme alla Germania,
un'altra razza è giunta in fondo a questo
processo: la Russia. Anche là vi è della neue
Sachlichkeit. Anche là si vuol liquidare
l'anima e l'Io, qualificati come «pregiudizi
dell'era borghese». Anche là tutto ciò che è
soggettivo, arbitrario, personale, ideologico e
sentimentale viene considerato come una
escrescenza irrazionale e malefica, che opportuni
processi di razionalizzazione e di
meccanizzazione curati dallo Stato onnipotente
penseranno ad estirpate. Anche là si tende a un
mondo impersonale, di cose più che di uomini,
primordiale, nudo, privo di cicli» (J. Evola, «Neue
Sachlichkeit». Una confessione delle nuove
generazioni tedesche, in « Rassegna
Italiana», XVI, n. 179 - Aprile 1933, pp.
315-324). Tale processo culturale affine, secondo
Evola, si diversifica nel suo punto di partenza,
che nel caso dell'URSS si tratta dell'emergere
della « antica anima barbara della razza slava
», mentre in Germania risorgerebbe « il senso
chiuso dell'Io proprio ad una antica paganità
guerriera ».
- 10 Elémire
Zolla, Eclissi dell'intellettuale, Milano
1971, p. 164.
- 11 W.
Haftmann, Malerei im 20. Jahrhundert,
München 1957, S. 421.
- 12 Berthold
Hinz, L'arte del nazismo, Milano 1975, p.
21.
- 13 Ibid.
- 14 G.
D'Annunzio, Le vergini delle rocce. Roma
1943, p. 45. Alla p. 47 del medesimo romanzo, che
vide la luce nel 1895, l'A. si è dimostrato
profeta: « Verrà un giorno in cui essi
tenteranno di ardere i libri, di spezzare le
statue, di lacerare le tele ». Così il « Vate
» presagiva l'avvento di un tipo di civiltà in
cui non vi sarebbe più stato posto per
l'estetismo e l'esibizionismo.
- 15 L'arte «
schiettamente fascista », secondo quanto si
legge in Fascismo e letteratura («
Quaderni dell'Istituto Nazionale fascista di
cultura », 1936) deve essere « aspra, forte e
schietta come si conviene a un popolo che è
abituato a sentirsi dire le verità più crude
»; « è fuori dalla nostra corrente tanto il
romantico della nuvoletta e del fiore appassito
quanto il verista in ritardo, l'adoratore dei
problemi sociali ridotti a una materialistica
brutalità ».
- 16 Reazionaria,
Antologia della cultura di destra in Italia
(1900-1973), a cura di P. Meldini, Rimini
1973, p. 87.
- 17 Mao
Tse-tung, Op. cit., p. 27. 18 Ibidem,
pp. 27-28.
- 19
«Pravda», 21 agosto 1946.
- 20 II caso
dello scultore Arno Breker riassume assai
emblematicamente l'affinità di vedute artistiche
nella Germania nazionalsocialista e nell'URSS dei
tempi di Stalin. « Gli unici che trattarono con
rispetto il mio lavoro ha dichiarato
Breker in un'intervista furono i
sovietici. Stalin era mio grande ammiratore.
Durante la guerra, tramite valigia diplomatica,
gli avevo inviato alcune riproduzioni
fotografiche delle mie opere, formato cartolina,
ed egli mi aveva invitato a Mosca, a guerra
terminata, perché aveva bisogno di artisti del
mio talento » (Mario Lombardo, Arno Breker,
uno scultore alla corte di Hitler, « Storia
illustrata », n. 181, dic. 1972, pp. 60-61). Del
resto, chi ha avuto l'occasione di vedere
riproduzioni di statue di V. Mukhina e di
confrontarle con le sculture di Breker, non può
non essere rimasto colpito dall'identità dello
stile.
- 21 G.F.
Venè, Ecco i « capolavori » di Hitler
rimasti nascosti per 30 anni, « Domenica del
Corriere », 13 ott. 1974, p. 50.
- 22 Reazionaria,
cit., p. 87.
- 23 B. Hinz, Op.
cit., p. 157.
- 24 Dal
discorso pronunciato all'inaugurazione
dell'Esposizione renana del 1941 a Vienna. Cit.
da B. Kroll, Deutsche Maler der Gegenwart -
Die Entwicklung, der Deutschen Malerei seit 1900,
Berlin 1937, S. 143.
- 25 B. Hinz, Op.
cit., p. 159.
- 25 bis A.
Hitler, Discorso per l'inaugurazione della prima
grande esposizione d'arte tedesca.
- 26 K.A.
Kauffmann, Die neue deutsche Malerei,
Berlin 1941, S. 130 u. ff.
- 27 Quasi
tutti i quadri citati sono riprodotti in B. Hinz,
Op. cit. Si veda anche la parte
iconografica del volume di Hildegard Brenner, La
politica culturale del nazismo. Bari 1965; si
confrontino infine le foto che accompagnano il
citato articolo di G.F. Venè su « La Domenica
del Corriere ».
- 28 F.A.
Kauffmann, Ibidem.
- 29
Ibidem.
- 30 Ibidem.
- 31 B. Hinz, Op.
cit., p. 165.
- 32 W. Horn, Ein
Denkmal der deutschen Arbeit, in « KiDR »,
J. VII, n.1., 1943, S. 16 u. fi.
- 33 H.
Fischer, Das Thema « Reichsarbeitsdienst » -
Maler, Bildhauer und Zeichner besuchen den
Arbeitsmann an der Front, in « KiDR » J.
VII, nn. 4-5, S. 84.
- 34 W. Horn, Op.
cit., S. 45.
- 35 B. Hinz, Op.
cit., p. 102.
- 36 Maler
und Zeichner schauen den Krieg, Verlag
Heinrich Hoffmann, Muenchen, o. d.
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