Tratto
da: "Introduzione alla Magia"
- volume I -
Gruppo di Ur (diretto da Julius Evola) - Edizioni
Mediterranee
Secondo
Dante (Convivio 11, 1) le «scritture si possono
intendere e debbonsi sponere per quattro sensi»:
il senso letterale, il senso allegorico,
il quale, dice Dante, è «una verità ascosa
sotto bella menzogna», il senso morale, e
quello anagogico. Questo senso anagogico
è «quando spiritualmente si pone una
scrittura, la quale, ancora nel senso
litterale, eziandio per le cose significate
significa delle superne cose delleternale
gloria »; ossia è il senso riposto di una
scrittura la quale, anche nel suo senso
letterale, tratta argomenti di ordine spirituale;
e va nettamente distinto dal senso allegorico e
da quello morale che, in suo paragone, hanno,
almeno dal punto di vista spirituale,
unimportanza di gran lunga secondaria. Sia
detto di passata: l interpretazione
anagogica della «Commedia» è ancora da
farsi.
Dante
chiama sovra senso questo senso anagogico.
Lan-agwghè infatti il condurre o portare
in su, lelevazione; e come termine tecnico
marinaresco designa latto di levare
lancora e di salpare. Metaforicamente,
riferita agli argomenti spirituali,
lanagogia indica quindi lelevazione
spirituale, il levarsi in alto da terra;
e, nel simbolismo dei «naviganti», indica il
salpare da quella «terra» cui gli uomini stanno
tenacemente ancorati, dalla terra ferma,
come loro sembra, per alzar le vele e correr
miglior acqua, mettendo il naviglio per
«lalto sale ».
Dante
si riferiva alle scritture dei «poeti»; ma la
distinzione dei quattro sensi può indubbiamente
venire applicata anche agli scritti sacri ed
iniziatici e ad ogni altro mezzo di espressione e
raffigurazione di fatti e dottrine spirituali. Il
senso supremo, il sovra senso in ogni
specie di simbolismo, secondo tale distinzione,
sarà dunque il scuso anagogico; la comprensione
piena dei simboli consisterà nella percezione
del senso, anagogico in essi racchiuso; e,
anagogicamente intesi ed adoperati, potranno
anche contribuire alla elevazione spirituale. In
questo senso i simboli sono dotati di una virtù
anagogica.
Naturalmente,
non tutti i simboli sono dotati di tale virtù.
Per estensione, invero, si dà talora il nome di
simboli a delle semplici sigle o caratteri,
aventi, unicamente o quasi, solo valore di
rappresentazione. Cosi, i simboli della
matematica e della chimica non posseggono, almeno
come tali, simile virtù anagogica; ed è
possibile, in questi campi, attribuire uno stesso
senso a simboli ben diversi; per esempio,
loperazione della moltiplicazione algebrica
la si può indifferentemente indicare col simbolo
usuale della croce e con quello del punto. Ma la
parola simbolo, presa nella sua accezione più
propria, ha un senso assai più preciso e
complesso, come risulta facilmente dalla stessa
analisi etimologica.
In
greco la voce aum-bolh designa latto del
congiungere, accozzare insieme, e la voce affine sum-bolon
indica laccordo e quindi il segno,
il contrassegno. Entrambe queste parole constano
di due elementi: il primo, il prefisso sun
(latino cum) indica semplicemente la
congiunzione, il secondo designa e precisa il
carattere di questa congiunzione. Bolh e boloz
indicano lo scagliare, il gettare; sono voci
connesse al verbo ballwche indica lazione
di scagliare, colpire, lanciare. Il verbo sum-ballw(riunisco)
e quindi anche la voce perfettamente analoga sum-bolon(simbolo),
designano dunque latto della
riunione, mentre la sintesi (sun-uesiz, latino compositio)
indica il risultato di tale azione, il
fatto compiuto. Al carattere dinamico del simbolo
si contrappone il carattere statico, immanente
della sintesi. Quanto alleffetto
dellazione, il verbo sum-ballw(riunisco) si
contrappone al verbo sia-ballw (disunisco,
traverso, avverso); corrispondentemente il sumbolon
è il contrapposto del «diavolo» (dia-boloz,
trasversale, avversario); e si presenta
filologicamente spontanea lattribuzione di
virtù dinamiche e magiche ai simboli per vincere
le opposizioni e le avversità diaboliche. E come
il simbolo conduce alla sintesi, il suo opposto,
il «diavolo»; è quanto conduce
allopposto della sintesi, e cioè
allanalisi; l'ana-lusiz infatti, è lo
scioglimento, la soluzione, il dissolvimento, la
morte.
La
virtù dinamica dei simboli si oppone dunque in
un certo senso ad ogni analisi, ed è strumento e
mezzo per pervenire alla sintesi. E come nella
conoscenza discorsiva si arriva alla tesi concettualmente,
per via logica, partendo dallipotesi, così
nellendogenesi iniziatica si può
pervenire alla sintesi, giovandosi della virtù
dinamica dei simboli, per via magica, partendo
dalla condizione iniziale umana. Queste semplici
considerazioni etimologiche, quindi, permettono
già di intravedere come nella conoscenza
superiore i simboli abbiano ufficio
corrispondente a quello tenuto dai concetti nella
conoscenza discorsiva. La corrispondenza tra i
simboli (sunboloi) da una parte, ed i concetti (con-ceptus,
con-cipio) e i sillogismi (sun-bogixonai,
com-puto) dallaltra, è perfetta; il
sillogismo, in logica, raduna con la parola (logoz)
e con il pensiero (da pondus = peso,
pensare = pesare), e porta discorsivamente alla
ponderazione, alla misura (mensura, da mens,
la mente, legato a mensis il mese, e
quindi alla luna, che non dà luce propria, ma
riflessa, la riflessione); il simbolo nella
scienza magica o scienza pura e purificante dei
Magi (persiano majidan, purificante, per
mezzo del fuoco) opera con la bolh,
l irradiazione, la proiezione, la
folgorazione. Alla parola della logica
corrisponde loperazione, lazione,
della magia; al discorso filosofico lopera,
la «Grande Opera », della tradizione
ermetica e muratoria.
*
* *
Per il carattere stesso della sua formazione,
il simbolo è qualche cosa di diverso e di
superiore allemblema, allinsegna,
alla parabola, alla metafora ed
allallegoria.
Emblema (da en-ballw, cacciar dentro) ed
insegna hanno carattere rappresentativo
piuttostochè conoscitivo e spirituale; e la
parabola, la metafora e lallegoria non
posseggono che in parte il carattere del simbolo.
Nellallegoria vien detta una cosa diversa,
unaltra cosa (allo-agorenw, altro-parlo),
invece di quella che veramente si intende; il
senso letterale è la «bella menzogna», il vero
senso è un altro, magari in contrasto con quello
letterale. Nel simbolo non vi è contrasto né
vera diversità tra ciò che appare a prima vista
e ciò che è significato; tra il simbolo ed il
suo od i suoi significati, anzi, intercede di solito
una relazione di armonia, analogia e
corrispondenza, e non si tratta, come per
lallegoria, di percepire il vero senso
senza farei ingannare dal senso apparente che non
ha importanza, ma si tratta (per quanto riguarda
la semplice comprensione) di risalire dal
significato evidente a quelli risposti, in modo
da cogliere il pieno significato del
simbolo, completando (e non sormontando) il senso
iniziale. Inoltre, e propriamente,
lallegoria è sempre verbale; mentre questa
limitazione non si applica ai simboli, poichè
oltre a quelli verbali ne esistono di ogni
specie.
Anche
la parabola non ha il valore del simbolo. Essa (parabogh,
para-ballw= colloco luno a fianco
dellaltro), non è che un semplice
paragone, un confronto, una similitudine. Le
parabole non possono condurre più in là del
termine di paragone; ed il successo riportato,
facendone uso, da Menenio Agrippa e da Gesù,
mostra che esse vanno benone per la plebe ed il
volgo profano. Quanto alla metafora ed al tropo,
entrambi termini più propriamente usati in
rettorica, osserveremo che si riferiscono anche
essi ad espressioni verbali, ed indicano che
bisogna trasportare, di solito, dal concreto
allastratto il significato delle parole o
frasi usate metaforicamente. La metafora (latino trans-latum,
il traslato) non è che il portar via (meta-jerw
latino trans-fero), il trasferire altrove.
Lallegoria,
la parabola e la metafora non sono dunque propriamente
dei simboli; sono dei modi di parlare che possono
trattare, e spesso trattano, di simboli, ed in
tale caso i caratteri dellargomento, ossia
del simbolo, si ritrovano, in parte almeno, anche
nella espressione verbale in questione. In tal
caso, sopra la base di un simbolo o di un
complesso di simboli o simbolismo speciale, si
costituisce tutto un linguaggio allegorico e si
sviluppa talora addirittura un gergo o frasario
segreto e convenzionale.
Abbiamo
avuto occasione di dire che i simboli sono di
svariatissima specie. Effettivamente ogni cosa
può costituire la base di un simbolo; ma,
naturalmente, vi sono dei criteri per la scelta o
determinazione. Abbiamo così il simbolismo
numerico, dove i numeri interi
(unastrazione per sè stessi),
costituiscono i simboli, e le loro potenze
(dunameiz), i loro residui o radici (puumhn), i
loro rapporti semplici e proprietà ne
costituiscono simbolicamente le virtù
anagogiche, simbolismo specialmente usato dai
Pitagorici e poi dai Cabalisti e dai Liberi
Muratori; abbiamo il simbolismo delle lettere
dellalfabeto, connesso, si capisce, a
quello numerico, che sta alla base della
tradizione cabalistica. A questi simbolismi, e
specialmente al primo, si ricollega il simbolismo
geometrico dei Platonici e dei Neoplatonici; ed
al simbolismo numerico e geometrico si
riconnettono i simbolismi di tutte quelle scienze
ed arti sacre in cui entrano in giuoco i
rapporti, le proporzioni, il ritmo e
larmonia come larchitettura, il
canto, la musica, la danza, la poesia, la pittura
(unitamente al simbolismo dei colori ed altri
ancora), e cui alla loro volta si ricollegano
come emanazioni, derivazioni ed applicazioni nel
campo sociale e politico laraldica e
lemblematica. Dai fenomeni fisici traggon
la base i simbolismi polare, solare,
meteorologico ed il simbolismo ermetico della
trasmutazione; dai fenomeni biologici i
simbolismi della fermentazione, della
putrefazione e germinazione del seme vegetale, il
simbolismo sessuale, il simbolismo della
metamorfosi e resurrezione, ed il simbolismo dei
nutrimenti e bevande spirituali e di immortalità
(soma hindu, haoma mazdeico, amrita
hindu, nettare ed ambrosia greci, larcaico anna
peremna latino, il «pane» ed il «vino»
ebraico cristiano). Dalle varie forme
dellattività umana, il simbolismo regale
(il palazzo regale del Filalete, larte
regia o regole neoplatonica e muratoria, la via
regia, lacqua regia, le nozze regali degli
Ermetisti), il simbolismo della guerra,
specialmente della «guerra santa» (Bhagavad-Gîtâ),
il simbolismo della pastorizia (nel Pimandro e
nel Vangelo), il simbolismo della coltivazione
della «terra» o georgico, della «navigazione»
(Omero, Virgilio, Dante), il simbolismo della
fondazione di templi e città ed in generale
della «edificazione» (da cui il titolo di
Pontefice pel sommo sacerdote dei Romani) e della
«costruzione», che è il fondamento del
simbolismo tradizionale muratorio e che si
collega naturalmente a quello architettonico (da
cui il Grande Architetto dell Universo); il
simbolismo della custodia e difesa di oggetti,
templi e terre sacre (cavalieri del Graal e
Templari). Ed infine gli stessi fatti della
storia e della leggenda, individuali e
collettivi, possono servire di base ed avere
valore di simbolismo (la guerra di Troia, le
fatiche di Ercole, la spedizione degli Argonauti,
la vita di Gesù). I miti (muqoz = il parlato, la
tra-ditio) e la favola (fabula,
favellare, parlare) non sono che dei racconti; la
mitologia è la narrazione della storia degli Dei
ed eroi. I miti non sono simboli, ma possono
avere carattere simbolico e servire di base ad un
simbolismo; così la mitologia pagana ha fornito
numerosi simboli agli ermetisti (Michele Meier,
Pernety). È una enumerazione sommaria ed
incompleta che abbiamo fatto, ma basterà a dare
unidea della vastità e della varietà del
simbolismo.
*
* *
Per
le ragioni vedute, lespressione verbale,
anche nelle sue varie forme figurative, non può
competere con la sinteticità vitale dei simboli.
Il simbolo trascende la parola, e, anche
limitandosi a considerarlo unicamente come mezzo
per esprimere e comunicare fatti e dottrine,
presenta ancora un altro vantaggio sopra il
linguaggio: le parole variano col tempo e col
luogo, sono soggette a logoramenti e variazioni
sia nella forma sia nel significato, e non
possono raggiungere la stabilità e
luniversalità del simbolo.
Ciononostante
la parola ed il simbolo hanno in comune almeno un
carattere fondamentale, e ciò è la natura
metaforica che lega il loro valore concreto al
loro significato astratto. Ambedue presuppongono
il riconoscimento della unità, corrispondenza ed
analogia universale e quindi, anche, ammettono
implicitamente la «similitudine» umana. Diciamo
similitudine e non identità od eguaglianza;
ammettiamo cioè come postulato che gli esseri ed
in particolare gli uomini siano simili fra di
loro dal punto di vista interiore presso a poco
quanto e come dal punto di vista esteriore, che i
sensi ed organi interni dei vari individui siano
tra loro simili ed equivalenti presso a poco
quanto e come lo sono i sensi e gli organi
fisici. Ammesso questo, la nostra esperienza
interiore ha un carattere trascendente
lindividualità, e può essere espressa in
parole ed in simboli comprensibili da coloro che
abbiano esperienza analoga, e può contribuire a
provocarla in chi ancora non labbia
esperimentata. È quanto avviene con il
linguaggio ordinario per le comuni esperienze
umane; quando parliamo di luce, di suono, di
colore presupponiamo, invero, non solamente che
il suono delle nostre parole venga percepito da
chi ci ascolta come noi siamo in grado di
percepire i suoni che colpiscono il nostro
orecchio, ma anche che la nostra esperienza,
espressa dalle nostre parole, venga intesa da chi
la sente grazie al confronto con una consimile
esperienza, nota e posseduta da chi ci ascolta.
Lanalogia
universale, adunque, sta alla base del
simbolismo, come sta alla base del linguaggio
metaforico, ed è quindi prevedibile che il
simbolismo si conformi a norme determinate, come
il paesaggio dal senso concreto a quello astratto
delle parole obbedisce alle norme della
semantica. La «Tavola di Smeraldo», che
la tradizione ermetica attribuisce ad Ermete ,
principia appunto con la solenne affermazione di
questa connessione ed.analogia universale: « Verum
sine mendacio, certum et verissimum: quad est
inferius est sicut quod est superius; et quad est
superius est sicut quad est inferius, ad
perpetranda miracula rei unius » (traduzione
latina del Khunrath).
Analogia
tra il fisico ed il metafisico, tra
lesteriorità e linteriorità; ed
analogia tra luomo e luniverso. Per
questa ragione luomo è potenzialmente Dio
ed il microcosmo è potenzialmente un macrocosmo.
Iddio, dice la Bibbia, creò luomo a sua
immagine e simiglianza. Il rapporto analogico che
lega luna cosa allaltra fa di ogni
cosa il simbolo naturale delle cose ad essa
corrispondenti; da qui il concetto e luso
in magia delle «signaturae rerum». La
similitudine tra la cosa ed il suo simbolo, tra
loggetto e la sua immagine, può essere
diretta od inversa. Nel primo caso il rapporto è
simile a quello che intercede tra una nota e le
sue ottave: e si ascende dal simbolo alla cosa
significata per via di trasposizione anagogica;
nel secondo caso il rapporto è simile a quello
che intercede tra un oggetto e la sua imagine
riflessa, e si ascende dal simbolo alla cosa
rappresentata per via di riflessione ed
inversione. Occorre tenere conto di questo fatto,
nella interpretazione dei simboli. Le due
similitudini, del resto, non si escludono
necessariamente a vicenda. Così, la luce solare,
rifrangendosi e riflettendosi nelle gocciole di
acqua, dà origine al fenomeno dei due arcobaleni
concentrici, nei quali i colori delliride
compaiono disposti in senso inverso; la teoria di
Cartesio spiega la formazione
dellarcobaleno interno con una semplice
riflessione del raggio luminoso, quella
dellarcobaleno concentrico esterno con una
riflessione doppia; analogamente
uninversione doppia, o ripetuta un numero
pari di volte, riporta il secondo tipo di simboli
al tipo della semplice trasposizione; e si
potrebbe viceversa pensare che nei simboli in cui
la corrispondenza avviene per trasposizione non
si avverta linversione del simbolo
semplicemente perchè ripetuta un numero pari di
volte. Il fenomeno meteorologico
dellarcobaleno, dovuto alla dispersione del
raggio «solare», nelle «acque», ha quindi il
valore di un simbolo naturale del processo stesso
dellanalogia universale; e come nella
mitologia pagana Iride era la messaggiera degli
Dei, la speciale ministra di Giove e Giunone,
perchè larcobaleno era il simbolo
dellunione tra il cielo e la terra, così
la similitudine tra il procedimento dell
inversione analogica e quello
dellinversione nella riflessione ottica ci
indica nellanalogia il legame che unisce il
cielo e la terra, lo spirito e la materia,
l interiorità e lesteriorità, il
divino e lumano.
*
* *
Il carattere analogico insito nel simbolo gli
conferisce una polisemia ed una indeterminatezza
di significato che, se da una parte ne
costituisce la ricchezza e la fecondità di
fronte alla precisione ed alla determinazione
della parola, ne rende daltra parte assai
meno semplice ed agevole la penetrazione e
luso. Anche nelle parole la coscienza del
significato etimologico e dei legami con le voci
affini permette di afferrarne il senso riposto e
dischiude la via a maggior conoscenza, ma il
processo analogo presenta nel caso del simbolo
ben altra latitudine e profondità. La
comprensione di un significato costituisce il
gradino per muovere alla conquista dei
significati ulteriori nei campi collaterali e
superiori, nè in questo caso si è costretti a
desistere nel continuo superamento del mistero
delle radici ultime del linguaggio che sta
fatalmente alla base di ogni analisi etimologica.
In virtù della
costante meditazione il simbolo finisce
collimprimersi nella mente, e con la sua
continua presenza è sempre pronto ad inspirarla,
a suggerirle i rapporti analogici che possiede
con quanto di volta in volta è oggetto del
pensiero, ed anche indipendentemente dai
riferimenti alle varie idee il simbolo, sulla
base dei rapporti analogici contenuti in esso,
per il suo intrinseco sincretismo, fornisce alla
mente gli elementi di lavoro, la feconda, per
così dire, conferendole un potere creatore. In
questo senso i simboli costituiscono dei modi di
moto e di azione, dei fattori
dellendogenesi, che spingono, guidano e
portano a condizioni di coscienza non ancora
esperimentate, e quindi ad una conoscenza
effettiva, diretta, insigne. Dal
significato adombrato e racchiuso nei segni si
ascende in tal modo ad un possesso cosciente, e lin-segna-mento
raggiunto, per via di segni, è anche
in-segna-mento di fatto. Anzi non è privo di
interesse, storicamente e filologicamente,
constatare come il linguaggio ricorra proprio ad
una parola così costituita per denominare
l'insegnamento.
Questazione
fecondante, magica, del simbolo sopra la mente,
corrisponde perfettamente allazione
consimile dei simboli in politica ed in
religione, azione che tutti possono constatare.
Si pensi alle ondate di entusiasmo, alle
determinazioni eroiche, che può suscitare nei
singoli e nelle masse una bandiera, un inno, un
simbolo nazionale o di partito, si pensi
allardore ed al fanatismo che può
provocare un simbolo religioso, e si comprenderà
come anche in magia il simbolo possa avere una
consimile virtù energetica, una consimile
potenza di stimolo e virtù di elevazione
spirituale. Con una differenza essenziale però:
mentre in politica ed in religione il simbolo fa
appello allamor di patria, alla passione di
parte, alla fede ed al pregiudizio religioso,
ossia unicamente al sentimento, di cui provoca
Iesaltazione e la manifestazione;
nellesoterismo il simbolo non fa mai
appello al sentimento, sibbene alle capacità
più elevate di comprensione e di creazione della
mente e dello spirito. Il sentimento, le
credenze, le teorie, il senso stesso di un
qualunque inquadramento e subordinamento alla
massa, sono elementi umani, ed è un errore
basarsi sopra di essi o comunque patteggiare con
essi quando si vuole superare il livello dei
mortali, e trascendere dallumano al divino.
La magia, e con essa tutte le tradizioni
iniziatiche, è perfettamente coerente
sostituendo al dommatismo delle fedi religiose e
filosofiche, al mero verbalismo rappresentativo e
di relazione di certa scienza,
linsegnamento simbolico, ossia il processo
spirituale che, con lausilio dei simboli,
adduce lesplicazione di esperienze e di
condizioni interiori, con la percezione e la
nozione diretta del trascendente.
*
* *
Questuso magico dei
simboli è tradizionale in ermetismo e nei
rituali di certe organizzazioni che ne hanno
parzialmente subito linfluenza. Esso si
innesta nella pratica del rito che conduce
allattuazione dellOpera.
La tradizione ermetica dice che
a compiere lOpera dal principio alla fine
un solo vaso è sufficiente, od al più
due (come sembra sia accaduto nel caso di
Flamel).
Questo
vaso, lathanor dei « Filosofi »,
va chiuso ermeticamente, ossia secondo il rito
ermetico (la dizione «chiusura ermetica» è
rimasta per designare la corrispondente
operazione chimica), in modo da potere operare
nellinterno di esso, dopo di averlo isolato
dallesterno. Una ben nota massima ermetica
dice in proposito: Visita interiora terrae,
rectificando invenies occultum lapidem (Aurelia
occulta philosophorum di Basilio
Valentino - Theatr. Chemic., IIa edizione,
1613; ma trovasi anche prima in forma poco
diversa). Il vaso, il grasale, il vaso del
San Graal, è infatti di «terra»; ma la
«terra», con un simbolismo arcaico di cui
trovansi abbondanti residui in varie lingue, è
il corpo umano; gli umani (da humus, terra)
sono i terreni, i terrestri; il loro
corpo è plasmato col fango della terra (vedi
etimologia di Adamo), esso è la loro dimora
(ted. Boden = terreno; ingl. body, corpo
e abode, dimora). Visitando le interiora
di questo vaso, e rettificando (altro,
termine tecnico rimasto in chimica a designare la
corrispondente operazione) vi si rinviene la pietra
dei fìlosofì.
Il
cardinale Nicolò di Cusa (1401-1464) dice (Opera,
Basilea, 1563, pag. 632) che il maestro discende
da Gerusalemme ai rudi monti del deserto, per
formare e tagliare le pietre, ed addurle e
collocarle nel santo edificio (il luogo per la
visione degli Dei), e che lanima, scelta in
sposa per il figlio di Dio che abita
1immortalità, si adatta alla
trasformazione, sicut lapides poliuntur,
come vengono levigate le pietre che devono essere
trasportate alledificio del tempio di
Gerusalemme dove è la visione di Dio, Questo
simbolismo edificante del Cusano
corrisponde con precisione al simbolismo
muratorio posteriore, per il quale gli operai (i
fellows) lavorano alla politura della pietra,
alla sua squadratura ed alla formazione della pietra
cubica o pietra perfetta nella «inner
chamber», la « camera di mezzo » della
terminologia italiana corrispondente. E Dante, in
principio della «Vita Nuova», sentenzia:
«Dico veracemente che lo spirito
della vita dimora nella secretissima camera de lo
cuore ». Se il vaso e la terra ermetica non sono
altro che lorganismo umano, le interiora
della terra, il «cuore» dellorganismo,
non può essere altro che il cuore. Esso è il
santuario, la cripta, del tempio,
raffigurato appunto sotto terra nella cripta
degli antichi templi. E si comprende il perchè
un antico alchimista francese, di cui non ci
soccorre il nome, spiegasse il nome del Saint
Graal con letimologia errata ma
significativa di sang real, sangue reale.
Questa connessione del vaso col cuore risale del
resto sino allantico Egitto, poichè
lideogramma del del cuore è un vaso con le
orecchiette (le orecchie del
cuore); ravvicinamento tra cuore ed athanor che
non è privo di interesse quando si ricordi la
derivazione egiziana della tradizione ermetica.
*
* *
Abbiamo
parlato di discesa nelle interiora della
terra. Il simbolo, di cui abbiamo così usato, è
talmente diffuso da passare inavvertito. Noi
sappiamo bene che la coscienza non è un oggetto
che si trova dentro il corpo, sappiamo
bene che non esiste un alto ed un basso e che è
assurdo pregare Iddio, drizzando il collo
verso un ipotetico «cielo» e torcendo il muso
con la grinta supplice e pietosa del cane che
attende dal padrone gli avanzi del pasto (non
senza il vago timore di una qualche pedata). Pure
la sensazione di sprofondamento della coscienza
nel suo intimo recesso non può venire espressa
nel linguaggio umano che ricorrendo alle analoghe
sensazioni della vita materiale umana.
Lorigine di molti antichi ed importanti
simboli (se di origine si può parlare), e quindi
la loro interpretazione va ricercata nella necessità
di esprimere le sensazioni interiori per mezzo
della analogia (analogia che esiste, e che
la mente umana riconosce ed adopera) tra queste
sensazioni e le sensazioni della vita consueta.
Tutto il simbolismo della «discesa agli inferi»
vi si connette. Così in Egitto il mondo
sotterraneo, il neter khert, la dimora dei
defunti, si chiama Amenti, dalla parola Amen che
significa invisibile, occulto; così lAde
greco è parimente aeidhz, invisibile. Occorre
discendere in questo mondo infero, invisibile,
illuminato dal sole occulto, Amen-Ra, il
«Sole di mezzanotte» delliniziazione
isìaca; e questa discesa va effettuata senza
perdere la coscienza di sè, senza bere o senza
risentire gli effetti letali dellacqua del
Lete, ma bevendo al contrario alla fresca
sorgente di Mnemo-sine, datrice di
immortalità nellorfismo, allacqua
dellEunoè dantesco. Mnemosine, la memoria,
il ri-cordarsi (corda), che si contrappone al
Lete e lo vince, è la madre delle Muse;
corrispondentemente la verità è in greco
la-leteia, e lapprendere non è
altro, platonicamente, che unan-amnesi, un
ricordarsi.
Anche
il simbolismo della pietra, loccultum
lapidem, che si rinviene rettificando nelle
interiora (od inferiora, come è detto, ed
ora comprendiamo il perchè, in alcune varianti
posteriori della massima di Basilio Valentino)
trae origine (non cronologicamente) da una
sensazione interiore; questo, almeno, ci appare
molto verosimile. Soltanto che, mentre una prima
ed incerta sensazione di
sprofondamento
nelle intime latebre della coscienza è
facilmente accessibile, per raggiungere la
sensazione della «pietrificazione» occorre in
generale un lungo periodo di assidua pratica del
rito. Un documento italiano del 1600 circa,
intitolato: La prattica dellestasi
filosofica, forse del Campanella, e
pubblicato dal DAncona insieme a scritti
del Campanella (Torino, 1854, Vol. 1, pag.
CCCXXIII), dice appunto che ad un certo stadio
della pratica si diventa «immobile come se fossi
una pianta o una pietra naturale»; e ci conferma
come sia spontaneo ed esatto lassimilare il
raggiungimento di simile condizione al
rinvenimento della pietra. Secondo il rosacroce
Michele Maier la pietra filosofale non è altro
che la pietra che Cibele fece inghiottire a
Saturno per sottrarre il suo figlio Giove alla
voracità di suo padre; così Giove potè
sfuggire al tempo e divenire re dell' Olimpo. La
«pietra nera», simbolo, di Cibele, fu portata
in Roma, e conservata sul Palatino dagli stessi
Romani che già da secoli possedevano e
veneravano un altro «lapis niger» nel
foro, in principio della «via sacra ». Questa
pietra era caduta dal cielo, ed era chiamata abadir
dai Romani e betilo dai Greci. Secondo
René Guénon (Il Re del Mondo, pag. 69,
ed. italiana, Milano, Fidi, 1927) la parola betilo
non è altro che lebraico Beth-el =
casa di Dio; Beth-el fu il nome dato da
Giacobbe alla pietra che gli servì da
capezzale quando nel suo sogno famoso vide la
casa di Dio e la porta dei cieli; e fu parimenti
il nome posto da Giacobbe alla città vicina al
luogo dove ebbe il suo sogno. È interessante
osservare come la Genesi specifichi come
il primitivo nome di tale città era Luz; ora luz
è il nome ebraico di un ossicino indistruttibile
cui lanima rimarrebbe legata dopo la morte
sino alla «resurrezione»; ed è in pari tempo
il nome del mandorlo; presso la città di Luz era
un mandorlo, alla cui base era un foro attraverso
il quale si penetrava in un sotterraneo,
sotterraneo che conduceva alla città di Luz,
anche essa intieramente nascosta. Si ritorna
così al simbolo del sotterraneo, simbolo
associato al simbolo della pietra. Tutto il
simbolismo della «edificazione spirituale»
usato nellEvangelo, e caratteristico della
Massoneria, ed il simbolismo della «pietra dei
filosofi» sono degli sviluppi di questo simbolo
fondamentale, che non può essere compreso (nè
insegnato) sintanto che non si sia rinvenuta la
« pietra occulta ».
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Abbiamo
veduto che si tratta di un lapis niger; e
vi sarebbero delle osservazioni e dei
ravvicinamenti da fare circa limportanza
delle pietre nere nellantica Roma,
nella tradizione mussulmana e nella tradizione
dellAggarttha, il mondo sotterraneo
di cui si occupa il Saint-Yves dAlveydre
nella Mission de lInde, Ossendowski
nel suo famoso Bêtes, hommes et Dieux, ed
il Guénon nel suo Roi du Monde. Che
questa pietra occulta, che si trova discendendo
agli inferi, nei «regni bui» sotto ed entro
«terra», debba essere nera, può sembrare
semplice conseguenza di coerenza nello sviluppo
del simbolismo; ma pur non dimenticando quanto
può essere legato alla rigogliosa efflorescenza
e fruttificazione del simbolismo, ci sembra che
anche questo simbolo abbia un preciso riferimento
alla sensazione del nero più nero del nero
della tradizione ermetica. Non dimentichiamo che
la «pietra occulta» è la Pietra dei Filosofi e
non la pietra filosofale, ossia è la materia
dellopera e non la materia ad opera
perfetta; e quando si rinviene la pietra la
sensazione di «impietrare» si abbina con quella
del nero completo.
Raggiunta
questa condizione, la comprensione del simbolo
diviene effettiva; e ne risulta illuminato il
senso del simbolismo ulteriore, che può in tale
modo suggerire quanto ora occorre fare e condurre
così ad un ulteriore stadio dellopera.
Lidentificazione dei riferimenti e la
determinazione del simbolo non è abbandonata del
resto allocchio della mente. Via via che si
procede, entra in azione la voce interna (la
«voce del cuore») e lorecchio interno (le
«orecchie del cuore»). Così si attua,
ermeticamente ed esattamente, la trasmissione del
simbolismo. Talora tale voce risponde ad un
quesito che la mente si pone circa e sopra un
determinato stadio o sensazione, talaltra
interviene direttamente nel momento opportuno, e
svela, concisamente, un arcano. Intendiamoci: non
si tratta della «voce della coscienza»,
dell«imperativo categorico» e simili
affioramenti di ciò che Nietzsche chiama «moralina»,
nè di voci e fenomeni medianici; si tratta di
quei sensi interni ai quali di solito gli uomini
non pongono attenzione perchè assordati dal
frastuono esteriore ed incapaci di avvertire e
distinguere le sottili impressioni interiori. Veramente
oculos habent et non vident, aures
habent et non audiunt. Questa voce e
questudito interiore possono funzionare
tanto nello stato di veglia, quanto nel sonno,
quanto nei vari stadi di coscienza che si
raggiungono nella pratica del rito. E
simultaneamente alla loro entrata in azione si
producono talora dei veri e propri fenomeni
materialmente tangibili, si da disperdere ogni
possibile scetticismo. Tali fenomeni posseggono
spesso anche un carattere simbolico manifesto, ed
hanno talvolta una bellezza ed una nobiltà
incomparabili. Potremmo narrarne qualcuno; ma non
abbiamo accennato a questo argomento che per
menzionare dei fatti che non è possibile
assolutamente confondere con delle idee o delle
allucinazioni, come si potrebbe essere tentati a
credere nel caso delle voci e delle percezioni
interiori; nonchè per accennare alla estensione
del carattere simbolico anche a queste
manifestazioni. Il simbolismo si innesta anche in
esse, sì da assurgere ad una specie di
linguaggio universale, di lingua iniziatica, che
trova una sua corrispondenza ed espressione nel linguaggio
iniziatico per mezzo di segni, gesti e
«parole universali» usato da qualche
organizzazione più o meno collegata alla
tradizione iniziatica.
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