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(...) Una gigantesca svastica di alberi colorati piantati in una foresta di pini a nord di Berlino da un devoto ammiratore di Hitler nel 1937 dovrà essere abbattuta. Un portavoce dell'amministrazione demaniale tedesca proprietaria del terreno presso Zernikow, 100 km a nord di Berlino, ha detto che la svastica di larici rossastri che ogni anno spicca tra il verde dei pini sarà rimossa. Il portavoce ha aggiunto che un tentativo fatto nel 1995 di rimuovere la reliquia nazista con una drastica potatura è fallito.
Alcuni giornali tedeschi avevano pubblicato di recente fotografie aeree della svastica, che misura 60 metri per 60, suscitando alcune proteste.
Questa volta i Verdi tedeschi, sempre attivi, non hanno avuto niente da obiettare.(...)

Daca

 

LA MAGIA DELLE RUNE

Tratto da: "The Unexplained - vol.10"
EDIPEM - Novara

È facile innamorarsi dell'antica Grecia e dell'Oriente classico. Pallade Atena e Dioniso, Apollo, Iside, Cibele e Afrodite non sono mai morti nella vecchia Europa, e hanno sempre avuto qualche devoto, nel corso dei secoli, grazie anche alle ideazioni artistiche che hanno più volte ispirato. Più arduo sentirsi in consonanza con le divinità scabre e corrucciate della mitologia nordica. Almeno così pare alla stragrande maggioranza di coloro che sono stati educati umanisticamente e soprattutto se di mentalità 'latina'. Eppure, come si è constatato nei precedenti servizi, il complesso di racconti che ha per protagonisti gli dei degli orizzonti settentrionali non manca di ragguardevoli significati simbolici. Per di più, la sopravvivenza nell'ambito folklorico di taluni usi e costumi sta a testimoniare che, nel profondo delle anime germaniche e scandinave, il retaggio pagano non è del tutto perduto. Sono tali la consacrazione della casa a una quercia o a un larice nelle zone rurali di Svezia e Norvegia, la divinazione praticata dalle giovani contadine danesi, contemplando la luna riflessa dalle acque di un ruscello, e il solenne e festoso corteo della Foresta Nera che, tra il 30 aprile e il primo maggio, celebra il risveglio della natura, portando in trionfo o fanciulle o fantocci rivestiti con rami e foglie. Qual è dunque lo spirito segreto della mitologia nordica e delle saghe che vi sono intimamente connesse? Non è nella letteratura, in senso stretto, che troveremo la giusta risposta, bensì in due componenti che si potrebbero paragonare alla linfa e ai fiori di un albero. Intendiamo riferirci al sacro alfabeto delle rune e alla 'lettura' del mito operata da Richard Wagner in chiave poetica e musicale, anzi melodrammaturgica. Sulle origini dei caratteri runici si possiedono due spiegazioni: l'una religiosa, l'altra profana. Secondo la prima, le rune furono ottenute da Odino (Wodan) a premio del massimo atto sacrificale: l'immolazione del dio a se stesso. Secondo quanto narra lo Havamal (II carme dell'alto Odino), nella parte maggiormente sapienziale, la misteriosa vicenda fu questa: Odino, desideroso di apprendere ogni forma di saggezza, accettò di essere appiccato all'albero del mondo (l'albero di cui nessuno sa "da quale radice si levi") e di pendervi per nove notti, ferito dalla propria lancia. Poté così "raccogliere le rune", apprendere dal gigante Bolthor (suo zio materno) i nove canti magici e nutrirsi dell'idromele, la bevanda che è in grado di suscitare il dono della poesia, in genere, e della profezia, in particolare. Molte le discussioni suscitate da questo racconto. V'è stato chi ha negato che Odino vi risulti protagonista di un vero e proprio processo di morte e risurrezione (lo Havamal precisa tuttavia che solo dopo essere sceso dall'albero e avere gustato l'idromele egli potè crescere in saggezza), sostenendosi che il suo dondolare da un albero per nove notti era quello di un 'appeso' e non di un 'impiccato' (accettandosi codesta tesi, l'appiccato dei tarocchi acquisterebbe un significato tutto particolare) e v'è stato chi ha rilevato certe somiglianze 'formali' tra il sacrificio di Odino e la Passione patita sul Golgota. Sono tuttavia possibili alcune controsservazioni. Alla prima tesi, non priva di fascino, si dovranno opporre i tradizionali appellativi di Odino quale 'dio degli impiccati', 'signore delle forche' e 'sovrano dei morti'. Alla seconda considerazione, in conseguenza della quale sarebbe più che giustificabile sostenere l'esistenza di un influsso cristiano sulla configurazione dell'autosacrificio di Odino, stante la datazione dello Havamal (il XII secolo d. C., in terra o norvegese o irlandese, ma comunque raccogliendo materiale più antico), si potrà contrapporre il rilievo secondo il quale, pur non escludendosi la possibilità che talune suggestioni cristiane ebbero bastante forza per infiltrarsi nel contesto del racconto pagano, resta il fatto innegabile che la connessione esistente tra il sacrificio mediante impiccagione e la conquista della capacità di tracciare caratteri e figure magici è tema che risuona anche in altri orizzonti pagani. Nell'ambito della grande raccolta di ballate epico-mitologiche finniche, conosciute sotto il nome di Kalevala, si narra, per esempio, che il gigante della vendetta Kullervo, quando era ancora bambino, dovette sopravvivere a vari tentativi di assassinio, commessi da un nemico della sua stirpe; il terzo di questi tentati omicidi avviene appunto mediante impiccagione a una robusta quercia, ma dopo tre giorni e tre notti ch'egli pende dall'albero: "No, non è morto no Kullervo / non è spirato sulla forca / Egli incide la quercia lavorando di punteruolo / e la quercia è tutta piena di disegni e di figure...". È dunque fuor di discussione che entro una prospettiva sacra e misterica la conquista delle rune da parte di Odino risponde a un paradigma ancestrale, è un frutto colto grazie a una concezione e a una pratica sacrificale che risalgono con ogni probabilità all'età sciamanica delle culture euroasiatiche. V'è da aggiungersi dell'altro: la grandiosità dell'immagine del dio che s'immola sull'albero del mondo è accresciuta proprio dal fatto che essa non ha carattere espiatorio né per il mondo né per lo stesso Odino, il quale continuerà a essere una divinità piuttosto amorale, ma sembrerebbe essere la condizione sine qua non perché poesia e veggenza divengano prerogativa degli dei e del mondo manifestato. E non è senza significato, inoltre, che poesia e invocazione magica paiono quasi confondersi l'una con l'altra, così come il carattere che concretizza la runa è, a un tempo, un segno fonetico e un ideogramma dai plurimi significati occulti. Ritorneremo su codesta duplicità. Per intanto, dobbiamo dar conto delle origini e dello sviluppo della scrittura runica, secondo quanto stabilito dalla paleografia e dalle altre discipline storiche e linguistiche. Oggi come oggi prevale l'ipotesi secondo la quale questo tipo di scrittura sarebbe nato nel 300 d. C. e nell'area nordoccidentale del Mar Nero, cioè a dire nella storica regione della Dacia. Si è altresì appurato che il periodo di fioritura e di massima diffusione può ascriversi ai secoli che vanno dal V all'XI d. C., per non parlare dell'estrema propaggine geografica, datata 1362, ritrovata nel Minnesota (Stati Uniti) e la cui autenticità (recentemente provata da verifiche chimiche) sta a dimostrare la realtà dei viaggi compiuti dai Vichinghi dalla Groenlandia al Nuovo Mondo. Più discorde il giudizio degli specialisti a proposito delle ascendenze attribuibili alla serie delle 24 rune canoniche e delle cinque sovrannumerarie. V'è chi ipotizza infatti una derivazione dalla scrittura greca corsiva e dal latino di età imperiale, congiuntamente; altri propendono invece per una discendenza dagli alfabeti etruschi latinizzati e altri ancora ritengono che la nascita dei caratteri runici debba collocarsi o in Danimarca o nella Germania settentrionale e che sia avvenuta in maniera del tutto autonoma, rimanendo influenzata da greco e latino solo in una fase posteriore. È comunque certo che sono maggiori gli elementi di diversità tra l'alfabeto runico e quelli classici 'volgari' che non quelli di somiglianza: la scrittura procede da destra a sinistra, la sequenza comincia con la terna feoh, ur, thorn (f, u, t) e ogni lettera ha un corrispondente numerico e in base a criteri a prima vista incomprensibili: feoh è uguale a 24, ur a 1 e così via. Il senso esoterico delle rune, la dimensione nascosta che esse racchiudono si disvelano purtuttavia di là dai giochetti numerici tanto cari agli occultisti. Innanzitutto, può rilevarsi che la serie canonica si proietta entro la fascia zodiacale a coppie per ciascun segno, principiando dal Sagittario, secondo un'accettabile ipotesi formulata da Elémire Zolla orsono 14 anni (vedasi Conoscenza Religiosa, n° 2, anno 1969), e muovendosi in senso retrogrado lungo lo Zodiaco, stante la necessità che ciascun segno solstiziale (le 'porte del Sole') contenga il suo opposto: il Cancro si apparenta infatti alla runa del ghiaccio oltre che a quella del raccolto e il Capricorno manifesta 'il giorno' e 'la luce', quanto il senso opposto di 'recinzione' ed 'esorcismo'. Un giuoco di polarità, il suddetto, tanto più significativo in quanto sta a indicare che laddove si sia capaci di guardare con intelligenza allo Zodiaco (cioè riconoscendolo come lo specchio degli archetipi, secondo l'insegnamento di Paracelso e Jung), ognuno dei suoi settori si rivelerà o con poteri 'coagulanti' o con qualità 'dissolventi', per dirla con i termini alchemici adoprati dallo stesso Zolla e facenti riferimento a processi che sono essenzialmente psichici e spirituali. Occorre aggiungere che tutto ciò suona a sottintesa, ma inequivoca condanna delle usuali tecniche oroscopiche? In seconda istanza, la scrittura runica lascia trasparire il potere che è racchiuso nelle sue lettere quando si consideri che, di là da certa magia 'spicciola', utilitaria, ciascuna di esse è l'effettivo custode, foneticamente e graficamente, di certi ritmi, fisici e vitali, a più livelli, entro e fuori la natura terrestre. Così è tramandato da certi insegnamenti riservati, non ancora contaminati dalla disvelazione e che tali debbono rimanere. Un paio delle più elementari dimostrazioni sono tuttavia esponibili. Si ricorderà allora, sotto il profilo della 'curiosità', che il numero canonico delle rune corrisponde al numero di 'tipi' di esseri viventi riconosciuti dalla moderna sistematica zoologica e che ogni runa presiede a un'ora del giorno o della notte; in prospettiva più simbolica, per converso, si potrà rilevare che i segni o fonemi sovrannumerari possono essere chiamati a rappresentare gli elementi perturbatori o 'miracolosi', gli interventi sovrannaturali o, per avverso, i fenomeni transitori o allucinatori. Dipende da molti fattori, come dalla qualificazione interiore di chi si è impossessato delle rune. Sia detto come fra parentesi: nella serie basilare che si è presa in esame le cinque rune supplementari sono costituite da ac, aesc, yr, ior, ear, in quanto ci si è riferiti agli arricchimenti grafici anglosassoni, ma altri caratteri possono aggiungersi o sostituire talune delle lettere, a seconda delle varianti ed esigenze linguistiche; nella stessa versione anglosassone, per esempio, l'alfabeto runico giunse a contare sino a trentatré segni. Non v'è da stupirsi di tanta fluttuazione, ciò che è arcaico è sempre soggetto alle pure leggi del ritmo, anche a livello psichico, perché non ancora 'cristallizzato', né del tutto crocifisso nella materia. Bene intese queste verità la grande intelligenza del cuore di Richard Wagner (1813-1883) nell'ideazione e realizzazione della Tetralogia, il ciclo in un 'Prologo' e 'Tre Giornate' che assomma e reinventa saghe e racconti del più lontano passato, ma che soprattutto penetra nella grande catena di regni della cosmogonia e del mito. Sotto tale profilo l'ondeggiante tema in si bemolle maggiore e in sei ottave con cui si apre la rappresentazione dell'Oro del Reno (il 'Prologo' della Tetralogia o Anello del Nibelungo) è qualcosa di più che un preludio: è la rappresentazione fonica del primo concretizzarsi del mondo e della vita, mentre il successivo frusciare delle figurazioni arpeggiate acquisisce invece, a poco a poco, un'impronta di stimolo visivo, come se non vi fossero più confini tra luce e suono. Analogamente, i successivi saluti delle tre ondine, prima alle acque e poi all'oro ch'esse custodiscono in fondo al fiume, sono ben altro che la descrizione di una situazione idillica, come potrebbe apparire di primo acchito, o un mero espediente teatrale. Per chi abbia bastanti conoscenze esoteriche, si è quivi in presenza dell'evocazione dello Stato dell'Esistenza anteriore alla caduta, quando ancora la Brama non aveva assunto alcuna maschera e non si era sollevata dalle Tenebre a concupire l'Eredità del Mondo. Siamo, come ciascuno può constatare, in una dimensione che nulla ha in comune con certe ricorrenti interpretazioni della Tetralogia. E che siffatte letture 'sociologiche' siano tanto presuntuose e pretestuose quanto aberranti è provato persino dalla più elementare delle constatazioni: nel concepimento e nella realizzazione dell 'Anello del Nibelungo Wagner estrasse più di un personaggio o di una situazione oltre che dall'Edda, francamente mitico, anche dal medievale Nibelungenlied (II canto dei Nibelunghi), ma evitando accuratamente qualsiasi riferimento che potesse inquadrare la vicenda in un orizzonte troppo delimitato; persino ne // Crepuscolo degli dei (l'ultima giornata della Tetralogia), laddove agiscono stirpi e comunità umane, uomini e donne appaiono circonfusi di bagliori epici e cavallereschi, piuttosto che storici o anche protostorici. Diremo di più: nella Tetralogia la componente umana, quando considerata collettivamente, è cieco strumento di rovina, solo contano le libere individualità di quanti operano a cavallo tra i mondi sovrassensibili e il mondo fisico: l'eroe Sigfrido, penetrato nel profondo dell'inconscio (la grotta del tesoro vegliata dal drago) e della Natura (il canto degli uccelli, il dominio sul fuoco) per conquistare infine la fanciulla celeste (la valchiria Brunilde) che è l'immagine speculare della sua anima, e Brunilde stessa, figura dell'Eterno Femminino, discesa sino agli uomini perché mossa dalla compassione (il tentativo di salvare coloro che avevano concepito l'eroe, Siegmund e Sieglinde). Sono tuttavia plurimi i significati racchiusi nella Tetralogia. I giganti, per esempio, vi simboleggiano le forze plasmatrici dell'Universo, istintuali o 'meccaniche'; i nani rappresentano le entità del sottosuolo od 'occulte', sempre pronte a bisbigliare 'parole di potere' o sentimenti di bramosia; e gli dei che attendono essi stessi la redenzione, a costo di porre fine alla loro era, raffigurano la religiosità politeista nel suo insieme e i misteri che da essa promanano, sotto forme diverse, animando ogni aspetto della Natura: lo scuotersi degli alberi alle voci dei venti, il distendersi improvviso e rassicurante dell'arcobaleno dopo la tempesta, lo zampillare di una sorgente e il fiammeggiare di una meteora. Certo, la sacralità degli dei nordici poteva apparire troppo poco trascendente e troppo legata al cerimonialismo delle immolazioni e Wagner per primo ne cantò il giusto e apocalittico tramonto, convinto com'era che rappresentare il ritorno alle limpide acque dell'oro bastasse ad avviare il processo di redenzione e di trasfigurazione del Creato e dell'Uomo. E in tale prospettiva l'opera ultima, il Parsifal, non solo si connette al Tristano e Isotta, com'è fin troppo facile intuire, ma si lega anche al principio e alla conclusione dell' Anello del Nibelungo, riproponendone su più alto livello le caratteristiche di solare eroismo. Il castello dei custodi del Graal "in Monsalvat" non è forse un Walhalla costruito con la fede anziché con l'inganno (nella Tetralogia la roccaforte degli dei è edificata dai giganti, avendo essi ricevuto la promessa, che non sarà poi mantenuta, di ottenere da Wotan la dea dell'amore e della giovinezza)? E il Graal non è forse, nella sfera della spiritualità, un pericoloso tesoro nascosto, per chi lo accosti senza conoscerne gli intrinseci poteri di farmaco e di veleno? Sigfrido, Tristano, Parsifal sono tre personaggi diversi solo in apparenza. In realtà, ognuno di loro è il simbolo vivente di un determinato orientamento intellettivo. Per dirla in termini ermetico-alchemici: Sigfrido è il modello di chi è in grado di percorrere la via dritta e pericolosa e lungo la quale è facile cadere preda dell'inganno, come Sigfrido cade; Tristano è colui che s'appella all'interiorità emotiva, alla possibilità di risalire dalla carne all'Eros cosmico e percorre dunque il cammino tortuoso dell'esaltazione e trasmutazione della soggettività, come nella pratica delle arti; Parsifal, infine, è l'asceta contemplativo, colui che rinuncia anche alla Bellezza, perché viva in lui e attraverso di lui l'Atto di Adorazione: sua è la via regale. Una precisazione importante: ciascuno dei cammini suddetti, in taluni casi eccezionali, può sovrapporsi per qualche tempo agli altri due e in tal caso si avrà a che fare con altrettante tappe trasfiguratrici. Il vocabolo runa significa 'scrittura segreta', 'segno', 'scongiuro' e 'mistero'. Quattro definizioni che possono estendersi a tutte le opere della maturità di Wagner e alla Tetralogia in specie, poiché veramente i suoi 198 temi fondamentali si distendono nello spazio acustico con funzioni di rappresentazione, evocazione e incantesimo, con magia 'runica', per l'appunto, e quando si sappia ascoltare.

 

LA MEDITAZIONE SULLE RUNE
(tratto dalla collana "IL NAZISMO ESOTERICO", 12 videocassette distribuite da HOBBY & WORK - tel. 0339.6284467)

 

Il ghiaccio

lo slancio, la protezione, il cigno

sovilo, il sole

Tivaz, il dio Tyr, la gloria

Bercano, la dea madre

anno, stagione

l'asse del mondo

il caso, il destino

il cavallo

l'uomo, l'essere umano

l'acqua, il mare

il dio Ing

il giorno

l'eredità ancestrale

la proprietà, il denaro

l'archetipo, l'energia vitale, la forza

l'azione, la forza

il dio ancestrale della morte

la cavalcata, il viaggio

l'energia, la torcia, il desiderio sessuale

l'energia sessuale, il matrimonio, la magia sessuale

la gioia, la fraternità, il benessere, l'unione

l'uovo, la nascita, l'inizio del mondo

il destino, la coscienza del realizzarsi del destino