LUCE OPUS MAGICUM: LE PAROLE DI POTENZA E I CARATTERI DEGLI ENTI
Quanti
si sono occupati di Magia, per semplice curiosità, o per
vero desiderio di conoscenza, oppure per impadronirsi dei
favolosi poteri, sono rimasti alquanto stupiti nell
incontrare, in qualsiasi rituale, formule contenenti
parole che sono sembrate affatto inintelligibili e segni,
geometrici o non, chiamati «caratteri» o «sigilli» di
«spiriti», di cui viene suggerito luso, senza
pertanto darne una ragione. Ho
già brevemente accennato a questo altrove, scrivendo
delle erbe magiche, dando alcuni elementi di significato.
È
opportuno rilevare, innanzitutto, che quasi tutte le
parole dei rituali, sono veri e propri nomina barbara,
cioè parole di altre lingue - latina, greca,
ebraica, caldaica, egiziana - malamente trascritte in un
primo tempo, e poi sempre peggio deformate da copisti
ignoranti e da autori idem. Sarebbe quindi
sufficiente ridurle alla loro originale grafia per averne
lesatto significato, che, quasi sempre, indica
attributi particolari dellente supremo. Per es.
l Eye Serayeraye che si legge ovunque, sarebbe
meglio trascritto in Eièh ascèr Eièh uno
dei « nomi divini », tratto dall Esodo, cap. III,
ver. 14, là dove Dio stesso, nel roveto ardente,
risponde a Mosè che lo interrogava, nominando sè
stesso: A.H.I.H.
À.SC.R. A.H.I.H. che
equivale, secondo una delle moltissime interpretazioni,
ad: «Io sono Colui che è ». In
altri casi è opportuno, secondo quanto consiglia il
Tritemio, di trascrivere le parole in caratteri caldaici,
perchè esse hanno, talora, significato in quella lingua,
usata dai sacerdoti di un popolo che fu tra i primi e
principali depositari della Tradizione Mediterranea.
Inoltre sincontrano nei testi delle parole che,
comunque si voglia, non possono essere ricondotte ad un
possibile significato, sia perchè composte talora di
sole vocali, o di sole consonanti, oppure di
aggruppamenti tali di esse, che non si prestano ad alcuna
possibilità di interpretazione o di derivazione
filologica. Tali sarebbero le vere e proprie « parole
di potenza ». Le
parole di potenza, così chiamate in Egitto, ebbero vari
nomi, dai vari popoli e dalle varie scuole od ordini da
cui venivano usate; così per esempio furono chiamate dai
Greci: ashma onomata, termine, il primo, che può
indicare, non soltanto che tali nomi sono
inintelligibili.ed oscuri, ma anche, secondo altre
accezioni, che sono ignoti e sconosciuti al profano, che
sono, forse anche, nomi senza segno, cioè nomi il
cui suono profondo non può essere detto o percepito che
in una folgorazione dello spirito libero da ogni legame
corporeo. Della loro esistenza vè traccia in
qualunque delle varie forme della Tradizione, fino a noi
pervenute, come suoni magici, nomina arcana, e,
particolarmente, le combinazioni e permutazioni di vocali
furono chiamate voces misticae o sillabe mistiche. Dai
Greci furono anche dette logoi spermaticoi o « parole
causali », e, nella tradizione indù, mantra, o
nomi naturali, intendendo con questo, che tali parole
apparterrebbero alla lingua originaria e perfetta nella
corrispondenza fra il termine, che conterrebbe
lessenza della cosa, e la cosa significata. Malgrado
che la realizzazione delle parole di potenza si svolga su
di un piano essenzialmente pratico, in cui è bene
mantenersi liberi da ogni teoria o preconcetto, accenno
in breve il lato dottrinale che ad esse si riferisce. Nella
suprema potenza il Verbo si realizza compiutamente e
perfettamente, poichè in sè contiene il principio di
ogni manifestazione e, in questa, si attua con lineare
corrispondenza tra la volontà realizzatrice e
lente realizzato. La
parola è il mezzo della realizzazione, e può essere
anche condotta alla percezione umana, portandola ad una
ottava umanamente sensibile. Che
la parola sia tale mezzo, viene indicato dalla legge
analogica, osservando come ogni manifestazione abbia
origine da un centro di potenza che agisce trasmettendo
la sua energia in onde particolarmente ampie e
frequenti. Tali onde possono essere percepite come suoni. Ed
anche per analogia si può intuire la legge di formazione
dei caratteri degli enti, ricordando i grafici del
Lissajous, ottenuti con i diapason, e le bizzarre figure
che ottenne il Chladni facendo vibrare delle sottili lamine
cosparse di sabbia finissima. La
parola, quindi, non è solamente suono, ma anche forma.
Perciò ad ogni ente corrisponde il suo nome ed il suo
carattere, o signatura, entrambi propri a lui solo e non
ad alcun altro. Gli
elementi tradizionali di questa dottrina sono conservati
nel Sepher Jetzirah, libro kabbalistico per
eccellenza, dove il concetto sonoro si mutua col concetto
luminoso, ed i nomina arcana e le signatnra
rerum, insieme, vengono chiamati o nomi, o lettere
di luce. *
* * Si
discenda nel « Silenzio » (vedi capitolo 1) e,
realizzatolo, si cerchi di vivere il proprio corpo, e
particolarmente le proprie facoltà immaginative, come
funzioni di sè, staccate da quanto è la profonda
realtà dellessere, ma non libere, anzi
completamente dominate. Questo
atto dello spirito dovrà giungere a tale perfezione, che
il compierlo non dovrà menomamente disturbare lo stato
di « silenzio » e quindi non dovrà fare retrocedere lo
spirito ad un livello di coscienza più comunemente
normale, più corporeo. In
questa prima fase si proceda a gradi, investendo dapprima
il proprio corpo, in quanto fisico - poi la mente, come
pensiero - poi l immaginazione, quella altissima ed
ignota facoltà di creare le immagini, sommamente
importante nella pratica magica. È
ovvio che quanto accenno non può, nè deve essere
tentato senza prima essere assolutamente perfetti nel
rito esposto precedentemente, e questo per due ragioni :
perchè non si otterrebbe alcun risultato, salvo
quello di perdere inutilmente del tempo ed anche di
andare incontro a qualche choc psichico - poi,
perchè alla ancora informe operazione precedente
verrebbero a sovrapporsi elementi tali, che
ostacolerebbero, talora per sempre, la compiutezza dei
primissimi. È necessario, quindi, di essere in quelli
perfetti prima di tentare la prima fase di questo, che, a
sua volta, richiede molta costanza prima di divenirne
padroni. Nella
seconda fase, potendo vivere la propria immaginazione
come un docile strumento, si formi di essa l
imagine di un ente qualsiasi, la si prenda e la si tuffi
nello spirito. Allora, si udrà un suono che a nessun
orecchio mortale è concesso di sentire, e che è
il nome segreto dellente. E nello stesso tempo,
senza occhio, si « vedrà » un leggero tracciato
luminoso, dove si è posto lente, di cui esso
indica il carattere. Ciò
compiuto, si dissolva l imagine e si risalga dal «
silenzio ». Questo
può esser fatto per linfinito delle cose. *
* * Nelle
operazioni della Magia Cerimoniale si possono ottenere
gli stessi risultati, «coagulando » adeguatamente la
forma che si proietta ed invocando le intelligenze supreme,
con formule adatte allo scopo. Il nome occulto potrà
vibrare così intensamente da poter essere udito anche da
assistenti; il carattere si svelerà formandosi in grandi
linee di fuoco. |