E diversi studiosi
lamentano "Siamo alla deriva"
di MARCO POLITI da Repubblica
Roma.
In qualche città dell'Europa del Nord è già successo.
Chiese cristiane vendute ai musulmani per farci una
moschea.
Chiese vuote, diventate un peso inutile, troppo costose
da mantenere. Templi, che anche se restano in funzione,
si riempiono soltanto al 7, al 10, al 20 per cento.
Monumenti di un'epoca in cui il Cristianesimo dettava le
sue leggi alla comunità, perché era la comunità.
Finito. Archiviato.
Il Cristianesimo comincia a ritirarsi dalla società
europea come una bassa marea.
Giovanni Paolo II teme che la religione venga limitata
solo all'ambito del culto. Vescovi e preti sono riveriti
e spesso finanziati, ma incidono sempre meno sul vissuto
delle generazioni. I preti diminuiscono, le parrocchie
restano sguarnite.
Da tempo la gerarchia opera come i generali che
accorciano il fronte.
Usa trucchi per controllare il territorio, quando le
forze non bastano più.
Parroci che sono titolari di due o tre parrocchie. Gruppi
di preti incaricati di badare insieme a numerose
parrocchie, che girano stressati da una chiesa all'altra
simili a commessi viaggiatori del sacro.
Sempre più spesso i laici sono chiamati a guidare le
celebrazioni domenicali: messe dimezzate, senza la
consacrazione dell'eucarestia. A volte i parrocchiani
improvvisano come a Natale in un paesino della Lunigiana,
dove i fedeli senza prete hanno inventato una messa
virtuale, mettendo accanto all'altare un registratore per
ascoltare canti, musiche e preghiere.
L'Europa, centro e colonna del Cristianesimo, si sta
svuotando della sua fede storica.
Perché Cristianesimo non significa semplicemente dirsi
cristiani o celebrare riti per costume o abitudine.
Seguace di Cristo è chi crede in alcune cose molto
precise su Dio, Gesù, l'Aldilà, la Resurrezione,
l'Eternità.
Proprio questo vacilla. Il secolo si chiude con una
cultura abbondantemente de-cristianizzata.
Il millennio si apre con masse di giovani che non sanno,
che non imparano, che non trovano adulti capaci di
trasmettere credo e memoria.
Da un capo all'altro dell'Europa si sentono segnali di
allarme.
Il professor Per Beskov, studioso dei Padri della Chiesa
all'università svedese di Lund, riferisce che parrocchie
e organizzazioni cattoliche sono diventate insufficienti
a conservare l'identità cristiana: "I giovani sono
abbarbicati all'individualismo, non entrano più in
movimenti politici, non socializzano, vivono nel mondo di
Internet dove ognuno sta per conto suo e i messaggi si
confondono e Dio è uguale a Satana". Il nuovo
modello sociale, spiega il professore, è quello del rave
party: "Si entra e si esce nell'anonimato".
Nodar Ladaria, un docente cattolico di Tblisi che ha
tradotto in georgiano il Catechismo universale e in russo
le Cinque piaghe della Chiesa di Rosmini, lamenta che il
concetto di individuo si sia "mangiato tutti gli
altri concetti cristiani". La corsa in chiesa di
tanti giovani dell'ex Urss non va sopravvalutata:
"Chi va in chiesa perché non sa dove andare vale
meno di chi fa un sacrificio specifico". Luigi
Tomasi, sociologo di Trento, definisce la gioventù
dell'Europa orientale immersa nell'iperconcreto:
"Non hanno tempo di occuparsi del passato e non
comprendono il futuro". Vale anche per tanti loro
coetanei dell'Europa occidentale. Per le chiese
istituzionali è un fenomeno esiziale.
Le statistiche raccolte in questo decennio aumentano
l'allarme. Nella Francia di qualche anno fa, il 53 per
cento dei giovani fra i 18 e i 24 anni si diceva
cattolico, ma poi si scopre che solo il 28 per cento
crede in Gesù figlio di Dio, ancora meno - il 18 per
cento nella sua resurrezione e una frazione minima
nella sua presenza reale nell'eucarestia: l'8 per cento.
Se la domanda investe l'origine del mondo, il 24 per
cento privilegia il big bang a fronte di un 21 che crede
in Dio creatore.
Intanto l'etica esce dalla sfera religiosa.
"Siamo", afferma Jacques Sutter del Centro
nazionale di ricerche sociali di Parigi, "alla
deriva delle religioni". Nessuno nega il
Cristianesimo. Lo si accetta come "un'eredità senza
testamento". In Gran Bretagna il processo di
scristianizzazione è largamente diffuso tra giovani e
adulti. Solo il 30 per cento crede ad un Dio personale,
il 40 ad una "qualche forma di forza vitale",
il 26 nella reincarnazione, il 44 nella vita dopo la
morte. Nel microcosmo di una città di provincia come
Belluno negli anni Novanta il rimescolamento è
altrettanto evidente. L'88 per cento dei giovani dà
priorità alla famiglia, l'82 all'amicizia, il 12
solamente alla religione. Ronald Inglehart, che per
vent'anni ha seguito il fenomeno a livello europeo, è
convinto che moltissimo dipenda dal mutamento della
visione del mondo. La nostra religione declina, perché
"l'esperienza quotidiana odierna è fondamentalmente
diversa dal tipo di esperienza che modellava la
tradizione giudaico-cristiana". Cambiano i simboli.
È più facile imbattersi in un computer che in una
pecora.
Il cardinale Poupard, ministro della Cultura di papa
Wojtyla, denuncia la paradossale apoteosi della
scristianizzazione culturale, manifestatasi dopo il
crollo del sistema comunista:
"Cresce l'indifferenza, la pluralità degenera in
pluralismo scettico, si perde la fiducia
nell'avvenire". Alla crisi del cristianesimo in
Europa Giovanni Paolo II dedicherà quest'anno un Sinodo
straordinario dei vescovi del continente. Poupard ha
aperto la pista con un convegno in Vaticano. C'è urgenza
di riscoprire le radici cristiane dell'Europa,
ristabilendo - ha detto il cardinale - la superiorità
dello spirito sulla materia, dell'etica sulla tecnica,
della persona sulle cose.
È uno sforzo in salita. Il calo di influenza del
cristianesimo si incrocia, infatti, con un revival di
religiosità orientata altrove. Stanislaw Grygiel,
filosofo polacco, è certo che l'uomo sia sempre
religioso, ma può imboccare vie sbagliate: "Cristo
è la risposta alla ricerca di speranza dell'uomo, ma se
per vari motivi l'immagine di Cristo è offuscata, la
natura degli uomini cercherà uno sfogo altrove".
Magari nel buddismo, nel fondamentalismo protestante,
nell'islamismo o nelle credenze magiche. Per Cristina
Odone, scrittrice inglese, la grande sfida non è
l'agnosticismo, ma la capacità di penetrazione dei
movimenti fondamentalisti protestanti. È anche una
questione di linguaggio, spiega: "A Roma si parla in
termini teorici, retorici, universali, che un tassista o
una cameriera non sentono come propri. I fondamentalisti
evangelici usano il linguaggio concreto di ogni giorno,
si confrontano con le ansie vere, toccano i problemi
quotidiani: l'angoscia di vivere, un divorzio, l'aborto,
l'omosessualità. Magari danno risposte sbagliate,
attaccandosi ad una lettura letterale della Bibbia,
negando con passione ai diversi, spaccando il mondo tra
Noie Loro. Ma si fanno capire".
L'oblio del cristianesimo in Europa, dice Cristina Odone,
porterà ad una confusione spirituale, perché
l'identità europea è culturalmente, sociologicamente,
persino individualmente intrecciata al cristianesimo.
"La storia dell'Occidente", le fa eco Ida
Magli, "si spiega soltanto con il
cristianesimo". Perderlo è per l'Europa un pericolo
gravissimo, sostiene l'antropologa che pure spesso ha
criticato ferocemente la Chiesa Cattolica e papa Wojtyla.
Nel vuoto si fa largo l'islamismo - continua la Magli
che rappresenta una religiosità primaria,
antecedente per sua natura al cristianesimo e
all'evoluzione occidentale dell'ebraismo. Ma così si
ritornerebbe ad un tipo di fede primitiva e andrebbe
perso il salto, la grande rottura culturale introdotta da
Gesù: il passaggio dalla religiosità dei segni
materiali (l'ariete sacrificale, la circoncisione, il
sabato) ad una fede in cui il primato sta nel simbolo. In
cui la fede religiosa deve intrecciarsi alla totalità
dell'essere. Il rigore del pensiero al rigore etico.
"Qualcuno deve salvare il cristianesimo",
esclama la Magli, "bisogna tornare ad una
predicazione popolare come ai tempi degli apostoli e di
San Francesco".
Il cardinale Ratzinger, pessimista sulla sopravvivenza
delle burocrazie istituzionali su cui si sono appoggiate
per secoli le Chiese cristiane, ripete spesso una sua
ricetta. Il futuro del Cristianesimo non sta nel ruolo di
"strumento moralizzatore della società" o di
promotore di utili iniziative sociali. "No, in
questo modo non si può salvare la Chiesa. Essa deve
anzitutto e con risolutezza adempiere al proprio compito,
su cui si fonda la sua identità: far conoscere Dio e
proclamare il suo regno".
Come? È l'enigma del terzo millennio.
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