"E' il
capitalismo, bellezza."
di Rina Gagliardi -
"Liberazione" 28 novembre 2000.
Toccate, per un momento, il golf
carino che avete addosso: porta un'etichetta famosa, una griffe
, e l'avete comprato a un prezzo conveniente, nel
negozio sotto casa. Quasi certamente, quel golf l'hanno
prodotto, lavorando in condizioni di sfruttamento
selvaggio e insicurezza totale, i bambini e le donne
operaie del Bangladesh o del Sud est asiatico, o di uno
dei tanti paesi poveri, dove i padroni hanno trovato
"convenientissimo" spostare la produzione. Lì
la forza lavoro non costa quasi nulla: soprattutto i
bambini e le donne costretti a lavorare in capannoni
chiusi ermeticamente dall'esterno. Qualche volta,certo,
accadono delle "disgrazie": come quella di
qualche notte fa, a Shibbur. Cinquanta operai, donne e
bambini, sono morti nell'incendio di un maglificio del
Bangladesh: morti bruciati, o soffocati dal fumo, o
sfracellati sul selciato nel disperato tentativo di
salvarsi dal fuoco. Ce ne sono, che lavorano in queste
condizioni, almeno un milione e mezzo solo nel bangladesh:
e qualcuno potrebbe dirvi che sono fortunati,
relativamente, rispetto a tanti loro concittadini che
possono solo mendicare nelle strade un piatto di minestra.
Chi li ha uccisi, queste nuove schiave del lavoro
salariato, questi piccoli proletari che confezionano golf
per il nostro benessere? Non solo la spietatezza dei loro
padroni-carnefici, e neppure soltanto l'inettitudine
servile dei loro governanti: questa strage - non è la
prima e purtroppo non sarà l'ultima - è l'esito di un
meccanismo che si chiama "ECONOMIA GLOBALE".
Dove funziona una legge ferrea: l'inseguimento del
massimo profitto, cioè dell'acquisto di forza lavoro al
suo prezzo più basso, e alle condizioni migliori per il
padrone (e per i consumatori del ricco occidente). Ora,
forse, è un po più chiaro che cosa vuol dire davvero globalizzazione
: non una parola magica, ma solo la forma concreta e
feroce del nuovo capitalismo."
Rina
Gagliardi
Globalizzare è produrre di
meno
di Massimo Fini -
"Il Resto del Carlino" 27 maggio 2001
Secondo il rapporto annuale
del Worldwatch Instìtute, organismo legato all'Onu, nel
2000 l'economia globale è cresciuta del 4,7%.
Negli Stati Uniti il 27% della popolazione è obesa, il
61% è in sovrappeso. Peccato che a petto di questa
continua crescita della produzione, anche alimentare,
aumenti il numero della gente che muore di fame, un
miliardo, o che è ai limiti della sopravvivenza, un
miliardo e 200 milioni.
La cosa può sorprendere solo chi ignori la storia
economica. Si ripete oggi a livello planetario ciò che
accadde in Europa all'epoca della Rivoluzione industriale
quando i processi di accumulazione di capitali, necessari
allo sviluppo secondo la classica teoria liberale,
arricchirono in modo smisurato i pochi rendendo
miserabili tutti gli altri, creando fenomeni fino ad
allora sconosciuti come la disoccupazione,
l'emarginazione sociale e la 'miseria' che è cosa
diversa dalla 'povertà'.
Una forbice di miseria
Oggi le popolazioni del Terzo Mondo sono povere come non
lo erano mai state, non solo in senso relativo, rispetto
ai Paesi sviluppati nei confronti dei quali la forbice
non fa che allargarsi (come, peraltro, si allarga
all'interno di questi stessi Paesi dove una soubrettina
televisiva guadagna in una mezza stagione quanto un
impiegato non mette da parte in una vita), ma in senso
assoluto, cioè un africano, un indiano, un messicano, un
venezuelano a meno che non appartenga alle
ristrettissime élites del suo Paese vive oggi
molto peggio di uno, due, tre secoli fa.
Una storia vecchia.
La ragione di questo ulteriore impoverimento dei già
poveri risiede nella globalizzazione economica che non è
un fenomeno di oggi, poiché ha inizio con la Rivoluzione
industriale, ma che oggi arriva alla sua maturazione
planetaria. Che cosa è infatti la globalizzazione allo
stadio 'maturo'? E' l'integrazione dei Paesi del Terzo
Mondo nell'economia mondiale ottenuta attraverso
l'omologazione di quelle popolazioni agli usi, ai
costumi, ai consumi, alla socialità del modello
occidentale e industriale che di quei mercati ha assoluta
necessità, pena l'implosione, avendo saturato i propri.
Economia di sussistenza
Le popolazioni del Terzo Mondo quindi si inurbano,
abbandonando le economìe di sussistenza su cui avevano
vissuto per secoli e millenni, che garantivano loro
l'autosufficienza alimentare negandogli il superfluo, ed
entrano nel mercato globale. Adesso quei Paesi esportano,
cosa che prima non facevano, ma il ricavato di tali
esportazioni non è sufficiente a colmare il deficit
alimentare che si è così venuto a creare. In altri
termini, perduta l'autosufficienza questi Paesi sono
costretti ad acquistare fuori parte del cibo, ma non
hanno i soldi per farlo. Quando si esce
dall'autosufficienza e si entra nel mercato si sottosta
alle sue ineluttabili leggi: il cibo non va là dove ce
n'è bisogno ma dove c'è il denaro per comprarlo, non va
agli affamati dèi Terzo Mondo ma ai maiali dei ricchi
americani perché sono più ricchi o quantomeno lo sono i
loro padroni. Questo spiega perché nonostante la
produzione di cereali di base, riso, grano e mais, sia
vertiginosamente aumentata in questi anni,
rispettivamente del 30,40 e 50%, quasi un terzo della
popolazione mondiale muoia di fame.
Mirare all'essenziale
Visto in termini planetari il problema non è quindi di
produrre ancora di più, cosa che ci sta portando al
collasso ambientale, ma di meno, di selezionare ciò che
produciamo mirando all'essenziale invece che al superfluo
e all'eccessivo (l'obesità degli americani è in questo
senso emblematica) e di redistribuirlo infinitamente
meglio. Altrimenti andiamo incontro, fatalmente, a
migrazioni bibliche e devastanti, al famoso 'scontro
mortale' fra Nord e Sud del mondo, sempre che il pianeta
non crolli prima sotto il nostro eccesso di peso.
Massimo Fini
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