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Tratto da: "Panorama d'Arte - 1976"
a cura di Elio Marcianò - Magalini Editrice Brescia, 1976


Si può parlare ancora di avanguardie? "Si può stendere tranquillamente - scrive Egidio Fusi - un attestato di morte. Non è possibile d’altronde che una rivoluzione così radicalmente innovatrice come quella che in quasi un secolo di storia, ha rimosso con violenza sedimentazioni millenarie di una cultura artistica estenuatasi in una accademia senza sbocchi, possa continuare con la stessa febbre di ricerca, senza risentirne l’usura, la perdita di slancio e soprattutto di idee nuove".
"La sperimentazione - scrive ancora Fusi - è arrivata alle estreme conseguenze formali, sfociando come espressione negativa del fare artistico, nella tela monocroma o nell’escremento inscatolato... Rielaborare artisticamente esperienze del passato è sempre stato il compito di tutti gli artisti in qualsiasi periodo della storia dell’arte, ma riciclarle trasformandole in immondizia è tutt’altra cosa".
La scultura non disdegna, al pari della pittura, l’uso di nuovi materiali e di nuove tecniche, per cui è derivata la distinzione: scultura vera e propria o sperimentazione.
Sulla strada della scultura, dopo Manzù, Marini, Fabbri, Messina, Minguzzi, sono da segnalare artisti seri come Vittorio Pelati, Egisto Ferri, Giovanni Aricò, i Cascella, Simon Benetton, Antonio Lazari, in fase di sperimentazione Pomodoro, Cappello, Cavaliere, Bonalumi, Marotta, Marchigiani percorrono itinerari polemici sulla via dell’avventura artistica.
L’incisione, degradata a volgare stampa col beneplacito di artisti senza scrupoli, resiste all’urto commerciale per merito della scrupolosa difesa di pochi maestri, fra i quali giganteggia Luigi Servolini (Cfr. I Cinti - E. Marcianò - L.S. - Un maestro dell’Incisione - Magalini Editrice), strenuo sostenitore della xilografia orginale contenuta nelle minime tirature.
Uomini politici e critici servili, ingalluzziti dal numero dei voti del loro partito, sostengono iniziative che starebbero bene nell’isola di Sumatra.
È degno di menzione l’episodio bolognese. Luigi Preti che, oltre ad essere uomo politico, è anche uomo di cultura e di buon senso, a proposito di alcune statue collocate nel centro storico di Bologna si è espresso in questi termini: "Tante ridicole assurdità, fredde esercitazioni snobistiche e provincialissime di scultori che vogliono stupire i loro amici intellettuali".
Ha definito un "Elemento modulato" di Aldo Calò una "graffa-ferma-carte, alta tre metri". Un "Totem della liberazione" di Pietro Consagra "un ferro verniciato che si alza in verticale per tre-quattro metri, allargandosi sopra, in modo da ricordare molto vagamente una ghigliottina".
E una "Carne saturnina" di Francesco Somaini, un "grossissimo tubo rosa, alto 4-5 metri, che si allarga in basso, ricordando vagamente la forma dei vecchi vespasiani".
All’offeso e inviperito Franco Solmi che sbraitava "Non vogliamo censura né un’arte di Stato", bonariamente Preti rispondeva che l’arte di Stato esiste solo in Russia: "Provi il signor Solmi ad organizzare una mostra di pittura astratta nella Piazza Rossa di Mosca"!
Poiché in Italia non si vuole censura né arte di Stato fioriscono - a discapito della libertà dell’arte e dell'artista - le Fiere Mercato di Bologna e di Pesaro per il quadro all’ammasso, mentre la biennale veneziana e la quadriennale romana finiscono nelle fauci voraci della bestia politica.
Carlo Ripa di Meana si dibatte nelle fauci di carnivori politicanti di partito ed ha appena la testa fuori per bofonchiare: "Noi pensiamo che negli ultimi anni si sia determinata una arroganza del mercato tale da mettere in pericolo quello che, ritengo, essere stato il primo storico merito della biennale; cioè: di aver rappresentato storicamente una selezione di valori e un vaglio severo di talenti".
E allora? Sgomento degli artisti di talento! Immagini il lettore Giorgio De Chirico, con la tessera del partito all’occhiello, portare il quadretto alla biennale, o alla quadriennale, o alla mostra-mercato!
Queste mostre servono ad arricchire gli apparatori sostenuti da critici compari, mentre dall’altra parte c’è il denaro pubblico o privato.
Ladro non è soltanto chi ruba, ma anche chi tiene il sacco!
Ma c’è una novità nello schieramento degli esclusi. Pittori, scultori e critici, fra i quali Dorfles, Menna, Trinni e Valsecchi, accusano l’attuale gestione.
Marcello Staglieno rileva il rinsavimento degli antichi sostenitori di funambolismi estetici, che considera più inversione di rotta che trasformismo.
Il solito Ripa di Meana ammette inutile la presenza delle "macchine celibi" di Duchamp, Mueller, ecc. che sono scoperte inventariate ed esposte già a Berna e si difende asserendo: "... abbiamo ancora le mani legate e mancano i fondi, in cassa non è giunto un decimo del miliardo dello Stato, della Provincia e del Comune". Santomaso tuona: "L’arte non deve essere al servizio dei partiti!" Scialoja sentenzia: "Non credo nella morte dell’arte se non come morte dell’uomo cosa che ancora da noi non è ancora avvenuta". Guzzi giudica: "Indubbiamente furbescamente i firmatari del manifesto antibiennale protestano, e dànno a vedere d’essersi completamente dimenticati del loro caro Dadà...". Noi tiriamo la somma: bisogna liberarsi dal terrorismo della falsa avanguardia e dalla debolezza dei critici trasformisti!
Scrive Giorgio Ruggeri, in merito alla maggiore mostra mercato europea, la Internazionale Kunstmesse di Basilea, che l’artista appena uscito dal recinto "appariva sgomento.
Ma che cosa ho visto, andava ripetendo, che cosa c’entra l’arte in tutto questo, che cosa ci fanno qui gli artisti? Qui regnano altri valori che con l’arte hanno poco da spartire.
A differenza di una mostra d’arte di stretta osservanza culturale, le mostre mercato, si sa, propongono altri valori, anzi ne propongono uno solo: il valore venale dell’opera, il quale di rado coincide con il reale valore artistico.
Anche il mercato dell’arte ha la sua logica spietata".
Siamo nell'illuminata sfera delle teorie di Argan il quale "si chiede quanto vale un Piero della Francesca, un Tiziano, un Cézanne che, a rigore, non valgono nemmeno una lira: valore artistico e prezzo di mercato sono entità non commisurabili, l’attribuzione di un prezzo implica necessariamente la degradazione del valore.
L’opera d’arte è cosa rara e preziosa, merce privilegiata. Il mercato non valorizza ma svaluta, non è sottocultura ma anticultura". Argan giunge alla singolare, diremmo folle, conclusione che soltanto le opere che non hanno un rilevante interesse per la storia dell’arte e in generale per la cultura, possono essere vendute, comprate, possedute.
"La considerazione - si chiede Ruggeri - vale per l’arte passata e consacrata o è applicabile anche alla produzione contemporanea? In questo caso si salvi chi può".
Gli italiani, sempre estremisti, tutto o nulla, neri o rossi, si dànno un gran da fare per dimostrarsi fedeli assertori delle dottrine di partito, spaccando tutto, azzerando l’arte e avvilendo l'individualità dell’artista.
E nel frattempo noi attendiamo all’ingresso delle Biennali e delle Fiere Mercato l’imperterrito De Chirico col quadretto sotto il braccio, e in mancanza del "pictor optimus", che se ne sta con altri sommi a casa sua, artisti che si battono per la gloria, meno fortunati, più sprovveduti e indifesi, si trovano nello stand delle fiere, stand che pagano profumatamente, fra piantine e tappetini, in compagnia con l’ortolano che si è svegliato pittore e fra quadretti di dilettanti imbrattatele domenicali che starebbero bene nei magazzini di bassi mobilieri o di rigattieri di cattivo gusto. E, al colmo dell’ironia, prima di partire per la fiera, prima di affrontare il grande viaggio verso la gloria, forse facendo debiti o impegnando al monte di pietà l’anello della moglie, tappezzano le mura della propria città di manifesti per annunciare ai concittadini la partecipazione alla mostra.
Ritornando a Ripa di Meana e alla biennale rileviamo quanto ha detto in merito alle grandi mostre europee: "In Italia, all’infuori forse della mostra su Boccioni e il suo tempo altre iniziative non hanno avuto l’ausilio di didattiche manifestazioni... Palma Bucarelli (Galleria d’Arte Moderna di Roma) ha in Italia rotto, per prima questa, così, proterva in quasi tutte le iniziative, fuori tutto Pomodoro, fuori tutto Burri, Fontana, un isolamento che non direi splendido, direi soltanto incomprensibile, per tantissimi che invece desiderano accedere.
Immaginate, grazie alla Bucarelli, quale interesse avrebbero suscitato le parallele dissertazioni didattiche sul l’arte del Fontana di critici che si sono emozionati per i suoi preziosissimi buchi, coi quali intendeva - pace alla sua anima - di andare oltre le dimensioni euclidee. Certo che i creatori dell’alta matematica, da Lobaceski ai nostri giorni, gli inventori della geometria degli iperspazi e della topologia, i cervelli matematici che hanno tradotto in formule astratte di sola analisi algebrica le figure a 4, a 5, a 6 a n dimensioni, e quindi non traducibili in modelli concreti, si rivolterebbero nelle loro tombe al pensiero che certi critici, digiuni di nozioni scientifiche, si siano esaltati per oltre un decennio di fronte a volgarissimi buchi.
Alla Bucarelli, alla quale la cultura deve l’esposizione dello stercoraro conte Piero Manzoni, pace anche alla sua anima, dobbiamo la considerazione di Ripa di Meana, il quale si è dimostrato anche lui all’altezza delle avanguardie artistiche, proprio a Venezia, quando ha permesso al De Dominicis (che figurava fra i grandi artisti segnalati da un grande catalogo nazionale) di appendere un povero demente alla parete di un padiglione della biennale delle scoperte.
Gesti disperati di geni folli ce ne sono stati fra le mura della propria casa: c’è chi si è tagliato orecchie o qualche parte importante e innominabile del proprio corpo, ma tutto ciò fa parte della cronaca o della leggenda, e non di una seria rassegna d’arte.
E poi questi artisti si sono esibiti con manie masochiste - dopo aver fatto qualcosa di serio!
Tutti siamo d’accordo nel biasimare le esposizioni a carattere popolare. Divulgazione è una parola che ripugna anche Argan. "Ma è certo che anche i processi culturali più specializzati possono e debbono essere spiegati, cioè inquadrati in una cultura generale. Ma spiegare non significa deproblematizzare: i problemi specifici della scienza e dell’arte debbono essere spiegati come problemi di cultura generale. Perciò un’esposizione deve presentare sempre e soltanto i fenomeni più nuovi e significativi, di punta".
"La funzione della critica - dice ancora Argan - nell’impostazione di una Biennale o di una qualsiasi esposizione internazionale dovrebbe essere quella di tracciare un disegno preciso della situazione.
Preciso vuol dire obiettivo, ma obiettivo non vuol dire confusione di significante e insignificante, di informativo e ridondante.
Il critico, insomma, dovrebbe agire come teorico e tecnico dell’informazione".
Finalmente un discorso serio del critico, non del filosofo del politico!
La critica si fonda sulla personalità dell’artista. Non è possibile distinguere la personalità dalle condizioni storiche e ambientali. L’arte contemporanea non è soltanto rottura assoluta col passato. Il compito della critica e della storia non si limita ad osannare le rivoluzioni degli imbecilli, ma deve esaltare l’evoluzione nelle rivoluzioni degli autentici artisti.
Ci viene in mente, nel concludere, una diagnosi disperata di Piero Bargellini: "Sul piano sociale, l’annullamento della persona. Sul piano politico, lo schiacciamento della libertà. Sul piano morale, la perdita della volontà. Sul piano artistico, la perdita dell’ispirazione. L’immanenza significa prigionia". L’immanentismo non è dunque, come si è creduto, una conquista. E’ una caduta.
Al di là del mondo dell’esperienza e della filosofia nel tentativo di arraffare modelli nuovi ed eccentrici, l'artista incolto si è cibato alla superficie di nozioni che spaziano dal pragmatismo (trovar qualcosa che deve prendere posto nel mondo che è qui) al comportamentismo (indagine psicologica limitata alle reazioni oggettivamente osservabili), alla semiotica (origine, significazione, combinazione dei segni in rapporto al comportamento), ed hanno seguito lo stesso atteggiamento condizionato del cane che sente l’acquolina in bocca al suono del campanello. Quindi avanguardie come pensiero ed atteggiamento, e non artistiche, non innovatrici di arte nuova.
La tendenza esistenziale, nonostante le forme superficiali e talora bizzarre, costituisce un altro anello di congiunzione fra l’artista e il mondo, soprattutto come protesta contro i valori tradizionali.
In questo indirizzo, inteso come apertura dell’arte sul mondo, si possono riscontrare, attraverso le varie correnti pittoriche e le singole personalità, validi e nuovi modelli espressivi, specie se mirano al recupero di tesi romantiche e affondano qualche radice nello spiritualismo e nella metafisica.
Se il kantismo ha portato la filosofia dell’umanità, l’arte deve avere i piedi sul mondo in libertà, intendendo per libertà la spontaneità voluta da Bergson, che è anche trascendenza, cioè superamento dell’essere umano verso forme che rappresentano la divina aspirazione dell’uomo.

Elio Marcianò

 

 

 

Tratto da: "Paesaggi e nature morte"
Centro Internazionale Incisione Artistica, 1995

testo introduttivo di Federico Tancini

La tecnologia offre oggi all’arte un’ampia varietà di mezzi espressivi, alcuni di questi viaggiano su canali capaci di raggiungere un vasto pubblico in un arco di tempo relativamente breve e non di rado con costi al fruitore molto bassi.
Cimentarsi oggi nelle tecniche espressive della grafica d’arte può perciò sembrare superato, anacronistico.
Per chi considera progresso solo l’evolversi dei mezzi tecnologici sembrerà uno di quei tentativi, provenienti da più parti, di frenare la storia.
Ma il progresso, quello vero, pensiamo sia saggio rintracciarlo nelle persone e nella loro capacità acquisita di rapportarsi con le cose e gli altri.
La stampa d’arte è uno di quei mezzi espressivi che conserva ancora una dimensione umana: in essa i ritmi del fare corrispondono ai ritmi del vivere saggio, della riflessione sulle cose oltre le superfici dell’apparenza su cui passano e scivolano le immagini vrituali di questo ultimo mondo.
E’ auspicabile, e per noi fondamentale, che l’artista di oggi, intenzionato ad adottare la stampa d’arte come tecnica espressiva debba conoscere di essa ogni possibilità, praticarla, frequentarla nei modi e nei tempi che essa richiede demandando ad altri parti minime del proprio lavoro.
E' necessario coagulare attorno a questo artista, a questo impegno, esperienze vive di altri operatori, proporre riflessioni sul miglior passato dell’incisione d’arte ed impegnarsi per il
futuro a regolamentare in modo molto più serio la documentazione sulle prove di stampa e sulle tirature.
Mosso da considerazioni come queste il Centro Internazionale di Incisione Artistica, Amici Accademia Raffaello di Urbino
* propone in queste prime cartelle il lavoro di giovani artisti che si
muovono già autonomamente nell’ambito delle tecniche incisorie nella certezza che questo rinnovato atteggiamento della ricerca artistica sia l’unico mezzo fondante di una nuova stagione significativa della grafica d’autore d’arte.

Urbino 1995

Federico Tancini

*il Centro Internazionale di Incisione Artistica, Amici Accademia Raffaello di Urbino, vide tra i suoi fondatori, quelle stesse menti che concepiranno poi, nel Marzo del '99 l'Associazione Regresso e il Centro "Federico Barocci"